La scelta di Bourne
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La scelta di Bourne

Jason Bourne vol. 6

Robert Ludlum

  1. 538 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La scelta di Bourne

Jason Bourne vol. 6

Robert Ludlum

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JASON BOURNE è tornato a vestire i panni del placido professore David Webb, ma ben presto il pericolo irrompe anche nel tranquillo campus universitario di Georgetown, dove insegna. Un ex studente viene trovato morto e orribilmente sfigurato. Il giovane era in possesso di documenti top-secret, ora scomparsi, che riportavano i piani di un terribile attentato. Dietro l'omicidio si nasconde un gruppo di estremisti islamici, la Legione Nera, un tempo unità speciale delle SS creata da Himmler e sopravvissuta alla fine del Terzo Reich. Webb deve tornare a essere Jason Bourne, l'unico in grado di combattere la minaccia terroristica: per fermarli dovrà raggiungere le remote terre del Caucaso e giocare una pericolosa partita contro un assassino feroce e tormentato. La scelta di Bourne è un'avventura adrenalinica e appassionante, che conferma il fascino intramontabile di Jason Bourne, definito dal "Times" "il vero erede di 007

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858617953

Libro terzo

Capitolo 28

Ci vollero dieci minuti perché Bourne riuscisse a prendere la linea per mettersi in contatto con il professor Specter, poi altri cinque perché i suoi lo tirassero giù dal letto. A Washington erano le cinque di mattina. Maslov era tornato ai suoi affari, lasciando Bourne da solo nella serra a fare le sue telefonate. Jason usò il tempo a sua disposizione per riflettere su ciò che gli aveva detto. Se davvero Pëtr era un membro della Legione Nera, le possibilità erano due: la prima, che Pëtr stava portando avanti una sua personale operazione sotto il naso del professore. Il che era abbastanza sinistro. La seconda, forse ancora peggiore, significava che anche il professore era implicato. Ma in questo caso perché era stato attaccato dalla Legione Nera? Bourne aveva visto con i suoi occhi il tatuaggio sul gomito dell’uomo armato che aveva avvicinato, picchiato e spinto in strada Specter.
In quel momento Bourne udì la voce di Specter. «Jason» esclamò questi, chiaramente senza fiato. «Cosa è successo?»
Bourne lo aggiornò sui fatti e terminò rivelandogli l’appartenenza di Pëtr alla Legione Nera.
Ci fu un lungo istante di silenzio.
«Professore, tutto okay?»
Specter si schiarì la voce. «Sto bene.»
Ma non sembrava una risposta del tutto sincera, e mentre il silenzio si prolungava Bourne si sforzò di cogliere qualche segno dello stato emotivo del suo mentore.
«Guarda, mi dispiace per il tuo uomo, Baronov. Il killer non era un membro della Legione Nera; era un agente dell’NSA mandato per uccidere me.»
«Apprezzo la tua sincerità» dichiarò Specter, «e sono veramente dispiaciuto per Baronov, ma lui conosceva i rischi. Come te, è entrato in questa guerra a occhi bene aperti.»
Di nuovo silenzio, ancora più imbarazzante.
Alla fine Specter disse: «Jason, mi rincresce doverti confessare che ti ho nascosto alcune informazioni a dir poco vitali. Pëtr Zilber era mio figlio».
«Tuo figlio? Ma perché non me lo hai detto subito?»
«Per paura» replicò il professore. «Ho tenuto la sua vera identità segreta per così tanti anni che era diventata un’abitudine. Dovevo proteggerlo dai suoi nemici – i miei nemici –, quelli responsabili della morte di mia moglie. Pensavo che il modo migliore per farlo fosse cambiargli il nome. Così, nell’estate in cui compì sei anni, Aleksej Specter affogò tragicamente e Pëtr Zilber prese il suo posto. Lo affidai ad alcuni amici, lasciai tutto e venni in America, a Washington, per iniziare la mia nuova esistenza senza di lui. Fu la cosa più difficile di tutta la mia vita. Ma come può un padre rinunciare al proprio figlio quando non riesce a dimenticarlo?»
Bourne sapeva esattamente cosa significava. Era sul punto di rivelare al professore quello che aveva saputo su Pëtr e la sua rete di disadattati, ma non gli sembrò il momento giusto per dargli altre brutte notizie.
«Così l’hai aiutato» Bourne indovinò, «in segreto?»
«Talmente in segreto» continuò Specter, «da non permettere a nessuno di collegarmi a lui, né di sapere che mio figlio era ancora vivo. Era il minimo che potessi fare per lui. Jason, non lo vedevo da quando aveva sei anni.»
Udendo l’angoscia profonda nella voce di Specter, Bourne attese un attimo. «Cosa è successo?»
«Ha fatto una cosa molto stupida. Ha deciso di sfidare la Legione Nera. Per anni ha tentato di infiltrarsi nell’organizzazione. Ha scoperto che stavano pianificando un grosso attacco in America, quindi ha trascorso gli ultimi mesi a cercare di scoprirne di più. E alla fine ha avuto la chiave per annientarli: ha rubato le planimetrie dell’obiettivo. Poiché dovevamo evitare di comunicare direttamente, fui io a suggerirgli di usare la sua rete per farmi avere le informazioni sui movimenti della Legione Nera. E aveva intenzione di mandarmi le planimetrie in questo modo.»
«Perché non limitarsi a fotografarle e spedirtele via Internet?»
«Aveva provato, ma non funzionava. La carta su cui i progetti erano stampati era rivestita di una sostanza che rendeva i caratteri impressi impossibili da copiare. Doveva mandarmi gli originali.»
«Di sicuro ti avrà parlato della natura delle planimetrie» disse Bourne.
«Lo stava per fare» spiegò il professore, «ma prima di riuscirci è stato catturato e portato nella villa di Ikoupov, dove Arkadin lo ha torturato e ucciso.»
Bourne considerò le implicazioni alla luce delle nuove informazioni che il professore gli aveva dato. «Pensi che gli abbia rivelato che era tuo figlio?»
«Ho avuto questo pensiero sin da quando hanno cercato di rapirmi. Temo che Ikoupov fosse al corrente del nostro legame di sangue.»
«È meglio che prendi delle precauzioni, professore.»
«È quello che sto cercando di fare, Jason. Lascerò l’area di Washington entro un’ora. I miei stanno lavorando alacremente per organizzare il mio trasferimento. Ikoupov ha mandato Leonid Arkadin a recuperare i progetti dalla rete di Pëtr. Si è lasciato alle spalle una scia di sangue.»
«Dove si trova ora?» chiese Bourne.
«A Istanbul, ma la cosa non ti sarà di alcun aiuto» affermò Specter, «perché nel tempo che impiegherai ad arrivare lì sicuramente lui se ne sarà andato. Ora è più importante che mai che tu lo trovi, perché abbiamo avuto conferma che ha ucciso il corriere a Istanbul ed è riuscito a impossessarsi delle planimetrie. All’attacco manca davvero poco.»
«Dove era diretto questo corriere?»
«A Monaco» disse il professore. «Era l’ultimo anello della catena prima che le planimetrie mi venissero consegnate.»
«Da ciò che mi è stato riferito, è chiaro che la missione di Arkadin è duplice» commentò Bourne. «Primo, recuperare le planimetrie; secondo, chiudere la rete di Pëtr uccidendone tutti i membri. Dieter Heinrich, il corriere di Monaco, era l’unico rimasto.»
«A chi avrebbe dovuto consegnare i piani a Monaco?»
«A Egon Kirsch. Kirsch è un mio uomo» disse Specter. «L’ho già avvisato del pericolo.»
Bourne rifletté per un momento. «Arkadin conosce l’aspetto di Kirsch?»
«No, e neanche la giovane donna che è con lui. Si chiama Devra. Era una delle collaboratrici di Pëtr, ma ora sta aiutando Arkadin a uccidere i suoi ex colleghi.»
«Perché dovrebbe fare una cosa del genere?» chiese Bourne.
«Non ne ho la minima idea» replicò il professore. «Quando ha incontrato Arkadin a Sebastopoli era una specie di nullità: niente amici, niente famiglia, un’orfana di Stato. Finora i miei non hanno ricavato niente di utile. In ogni caso, tirerò fuori Kirsch da Monaco.»
La mente di Bourne stava lavorando alla velocità della luce. «Aspetta. Fallo uscire dal suo appartamento e mandalo in qualche luogo sicuro in città. Io prenderò il primo aereo per Monaco. Ma prima di partire voglio tutte le informazioni che puoi fornirmi sulla vita di Kirsch: dov’è nato, cresciuto, chi sono i suoi amici, la famiglia, la scuola, qualunque dettaglio utile. Lo studierò durante il viaggio prima di incontrarmi con lui.»
«Jason, non mi piace la piega che sta prendendo questa conversazione» disse Specter. «Sospetto di sapere cosa hai in mente. Tu vuoi sostituirti a Kirsch. Te lo impedirò. Non ti lascerò diventare un obiettivo per Arkadin. È troppo pericoloso.»
«Non ci sono alternative, professore» replicò Bourne. «È fondamentale che io entri in possesso di quelle piantine, l’hai detto anche tu. Tu fai la tua parte e io faccio la mia.»
«Giusto» ribatté Specter dopo un istante di esitazione, «ma nella mia c’è anche far entrare nell’operazione un amico che opera fuori Monaco.»
A Bourne non piacque quello che stava ascoltando. «Cosa vuol dire?»
«Hai già chiarito che lavori da solo, Jason, ma questo Jens è uno che ti coprirà le spalle. E scoprirai di esserne ben felice. Ha una familiarità straordinaria con il lavoro sporco.»
Un killer professionista, pensò Bourne. «Grazie, professore, preferisco di no.»
«Questa non era una richiesta, Jason.» Il tono di Specter non ammetteva repliche. «Jens è la condizione perché io acconsenta a farti prendere il posto di Kirsch. Non ti permetterò di infilarti in questa trappola da solo. La mia decisione è irrevocabile.»
Dimitrij Maslov e Boris Karpov si abbracciarono come vecchi amici. Bourne rimase in piedi in silenzio. Quando si trattava di politica russa nulla poteva sorprenderlo, anche se era comunque stupefacente vedere un colonnello d’alto rango dell’Agenzia federale anti-narcotici accogliere calorosamente il capo della Kazanskaja, una delle due più famose gruppirovka della droga.
Questa bizzarra riunione ebbe luogo al Bardak, vicino alla Prospettiva Lenin. Il locale era stato aperto appositamente per Maslov; e la cosa non doveva sorprendere, visto che era suo. Bardak significa «bordello» e «caos» in slang russo. Nel centro del locale torreggiava un famoso palco per spogliarelliste con tanto di pali e una piuttosto insolita altalena in cuoio che ricordava le briglie da cavallo.
Un’audizione aperta per ballerine di lap-dance era in pieno svolgimento. La fila di avvenenti ragazze bionde serpeggiava intorno ai quattro muri del club dipinti di lucido smalto nero. L’arredamento era costituito da enormi casse, file di bottiglie di vodka sugli scaffali e una sfera stroboscopica anni ’70.
Dopo che i due uomini ebbero finito di scambiarsi reciprocamente pacche amichevoli sulla schiena, Maslov fece loro attraversare la stanza buia ed entrare in un corridoio rivestito di legno. Misto all’aroma del cedro c’era l’inconfondibile odore di cloro. Sapeva di palestra; infatti oltre la porta di vetro zigrinato c’era lo spogliatoio di un bagno turco.
«Ecco la sauna» indicò Maslov. «Ci troviamo lì tra cinque minuti.»
Prima di continuare la conversazione con Bourne, Maslov aveva insistito per incontrare Boris Karpov. Bourne era stato molto scettico in merito a questo incontro, ma quando aveva chiamato l’amico quest’ultimo aveva accettato di buon grado. Maslov aveva dato a Bourne il nome di Bardak, niente altro. Karpov aveva detto solo: «Lo conosco. Sarò lì tra novanta minuti».
Ora, con indosso nient’altro che un asciugamano, i tre uomini si ritrovarono insieme nell’area densa di vapori della sauna. La stanzetta era rivestita, come il corridoio, di pannelli di cedro. Panche fatte con assi di legno correvano intorno a tre pareti. In un angolo c’era un mucchietto di pietre riscaldate sopra le quali pendeva una fune.
Appena entrato, Maslov tirò la corda: l’acqua bagnò le pietre producendo una nuvola di vapore che roteò fino al soffitto e poi ridiscese, avviluppando gli uomini seduti sulle panche.
«Il colonnello mi ha assicurato che si occuperà della mia situazione se io mi occuperò della sua» disse Maslov. «Cioè del problema di Čerkesov.»
Pronunciò queste parole con un luccichio negli occhi. Senza quella camicia hawaiana fuori misura era un uomo piccolo e asciutto con muscoli nodosi e senza un filo di grasso. Non indossava né catene d’oro né anelli di diamanti. I suoi gioielli erano i tatuaggi: gli ricoprivano tutto il torso. Ma non erano i crudeli e spesso confusi tatuaggi della prigione che sfoggiavano molti altri malviventi. Erano al contrario tra i più elaborati disegni che Bourne avesse mai visto: draghi asiatici che sputavano fuoco, con la coda che disegnava ampie volute, le ali distese e gli artigli sfoderati.
«Quattro anni fa ho trascorso sei mesi a Tokyo» raccontò Maslov. «Secondo me è l’unico posto dove puoi farti tatuare.»
Boris si dondolò ridendo. «Ecco dov’eri, bastardo! Ho battuto tutta la Russia per il tuo culo pelle e ossa.»
«A Ginza» confermò Maslov. «Ho brindato con un po’ di Saki Martini a te e ai tuoi galoppini. Sapevo che non mi avreste mai trovato.»
Fece un gesto come se volesse allontanare la cosa. «Ma quelle vicende spiacevoli sono alle spalle; il vero colpevole ha confessato le morti di cui ero stato accusato io. Ora stiamo vivendo la nostra privata glasnost
«Voglio sapere di più su Leonid Danilovič Arkadin» disse Bourne.
Maslov allargò le mani. «Un tempo era uno di noi. Poi gli è successo qualcosa, non so cosa. Ha rotto con la gruppirovka. In genere le persone che si comportano così non sopravvivono a lungo, ma Arkadin fa parte di una categoria speciale. Nessuno osa toccarlo. Si è creato una reputazione di assassino efferato. È un uomo, lasciatemelo dire, senza cuore. Si potrebbe di certo ribattere che la cosa vale per la maggior parte di noi. E io rispondo che non è del tutto sbagliato. Ma Arkadin non ha neppure anima. Questa è la vera differenza. Non c’è nessun altro come lui, il colonnello può confermarlo.»
Boris annuì giudiziosamente. «Anche Čerkesov e il nostro presidente lo temono. Personalmente, non conosco nessuno né nell’FSB-1, né nell’FSB-2 che si sia scontrato con lui riuscendo a sopravvivere. È come un grande squalo, il re degli assassini.»
«Non state un po’ esagerando?»
Maslov si sedette in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. «Ascolti, amico mio, questo Arkadin, o come cazzo si chiama, è nato a Nižnij Tagil. Ne ha sentito parlare? No? Mi lasci spiegare: questa brutta copia di una città orientale negli Urali del sud è l’inferno in terra. È piena di ciminiere e acciaierie che vomitano fumi carichi di zolfo. Gli abitanti sono dei miserabili che trincano vodka fatta in casa, cioè alcol puro, di continuo, e svengono dove capita. La polizia è brutale e sadica nei confronti dei cittadini. Come un gulag è attorniato da torrette di guardia, Nižnij Tagil è circondata da carceri di massima sicurezza. I detenuti della prigione vengono rilasciati senza neanche il biglietto del treno, ragione per cui sono costretti a stabilirsi in città. Lei, che è americano, non può neanche immaginare la brutalità di coloro che abitano questa fogna. Solo i peggiori criminali osano mettere piede in strada dopo le dieci di sera.»
Maslov si deterse il sudore dalle guance con il dorso della mano. «Questo è il posto dove Arkadin è nato e cresciuto. È da questo pozzo nero che si è fatto un nome sbattendo fuori a calci le persone dai loro appartamenti di ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Rizzoli best
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Prologo
  6. Libro primo
  7. Libro secondo
  8. Libro terzo
  9. Ringraziamenti
  10. Indice
Stili delle citazioni per La scelta di Bourne

APA 6 Citation

Ludlum, R. (2011). La scelta di Bourne ([edition unavailable]). BUR. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3304148 (Original work published 2011)

Chicago Citation

Ludlum, Robert. (2011) 2011. La Scelta Di Bourne. [Edition unavailable]. BUR. https://www.perlego.com/book/3304148.

Harvard Citation

Ludlum, R. (2011) La scelta di Bourne. [edition unavailable]. BUR. Available at: https://www.perlego.com/book/3304148 (Accessed: 26 June 2024).

MLA 7 Citation

Ludlum, Robert. La Scelta Di Bourne. [edition unavailable]. BUR, 2011. Web. 26 June 2024.