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Dei doveri dell'uomo
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Tutti gli uomini desiderano libertà e felicità , ma nÊ libertà nÊ felicità possono esistere senza una profonda coscienza dei doveri a cui tutti siamo chiamati: cosÏ Mazzini condensa le sue riflessioni in quell'anno cruciale che è il 1860, e il suo progetto di una via al progresso che coniughi la rivendicazione dei diritti a un senso profondo di appartenenza alla nazione e all'umanità intera ha ancora molto da dire anche a noi. Coraggiose e profetiche, le sue parole diventano una preziosa guida per trovare il giusto equilibrio tra noi stessi e gli altri: ricordandoci che la vera realizzazione è quella capace di unire la crescita individuale con l'impegno per migliorare la comunità di cui siamo parte.
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Informazioni
Argomento
Politica e relazioni internazionaliCategoria
PoliticaDEI DOVERI DELLâUOMO
Agli operai italiani
A voi, figli e figlie del popolo, io dedico questo libretto, nel quale ho accennato i principi in nome e per virtĂš dei quali voi compirete, volendo, la vostra missione in Italia: missione di progresso repubblicano per tutti e dâemancipazione per voi. Quei che per favore speciale di circostanze o dâingegno, possono piĂš facilmente addentrarsi nellâintelletto di quei principii, li spieghino, li commentino agli altri, collâamore col quale io pensava, scrivendo, a voi, ai vostri dolori, alle vostre vergini aspirazioni, alla nuova vita che â superata lâingiusta ineguaglianza funesta alle facoltĂ vostre â infonderete nella Patria Italiana.
Io vâamai fin daâ miei primi anni. Glâistinti repubblicani di mia madre mâinsegnarono a cercare nel mio simile lâuomo, non il ricco o il potente; e lâinconscia semplice virtĂš paterna mâavvezzò ad ammirare piĂš che la boriosa atteggiata mezzasapienza, la tacita inavvertita virtĂš di sagrificio châè spesso in voi. PiĂš dopo, dalla nostra Storia raccolsi come la vera vita dâItalia sia vita di popolo, come il lavoro lento dei secoli abbia sempre inteso a preparare di mezzo allâurto delle razze diverse e alle mutazioni superficiali e passeggere delle usurpazioni e delle conquiste, la grande UnitĂ democratica Nazionale. E allora, trenta anni addietro, mi diedi a voi.
Io vidi che la Patria, la Patria Una, dâeguali e di liberi, non escirebbe da una aristocrazia che tra noi non ebbe mai vita collettiva ed iniziatrice, nĂŠ dalla Monarchia che sâinsinuò, nel XVI secolo, sullâorme dello straniero e senza missione propria, fra noi, senza pensiero dâUnitĂ o dâemancipazione, ma solamente dal popolo dâItalia, â e lo dissi. Vidi che a voi bisognava sottrarsi al giogo del salario e fare a poco a poco colla libera associazione, padrone il Lavoro del suolo e dei capitali dâItalia â e, prima che il socialismo delle sètte francesi venisse a intorbidar la quistione, lo dissi. Vidi che lâItalia, quale lâanime nostre la presentono, non sarebbe se non quando una Legge Morale, riconosciuta e superiore a tutti quei che si collocano intermediari fra Dio e il Popolo, avrebbe rovesciato la base dâogni autoritĂ tirannica, il Papato â e lo dissi. NĂŠ mai per pazze accuse e calunnie e derisioni che mi si gettassero, tradii voi e la causa vostra, nĂŠ disertai la bandiera dellâavvenire, quandâanche voi stessi, travolti da insegnamenti dâuomini piĂš che credenti, idolatri, mâabbandonaste per chi, dopo aver trafficato sul vostro sangue, torceva il suo sguardo da voi. La vigorosa sincera stretta di mano dâalcuni dei migliori tra voi, figlie e figli del popolo, mi consolò dellâabbandono altrui e di molte acerbissime delusioni versate sullâanima mia da uomini châio pure amava e che avevano professato dâamarmi. Mâavanzano pochi anni di vita, ma il patto stretto da quei pochi con me non sarĂ violato per cosa che avvenga sino al mio ultimo giorno; e forse gli sopravviverĂ .
Pensate a me comâio penso a voi. Affratelliamoci nellâaffetto alla Patria. In voi segnatamente sta lâelemento del suo avvenire. Ma questo avvenire della Patria e vostro, voi non lo fonderete se non liberandovi da due piaghe che oggi pur troppo, spero per breve tempo, contaminano le classi piĂš agiate e minacciano di sviare il progresso Italiano: il Machiavellismo e il Materialismo. Il primo, travestimento meschino della scienza dâun Grande infelice, vâallontana dallâamore e dallâadorazione schietta e lealmente audace della VeritĂ : il secondo vi trascina inevitabilmente, col culto degli interessi, allâegoismo ed allâanarchia.
Voi dovete adorar Dio per sottrarvi allâarbitrio e alla prepotenza degli uomini. E nella guerra che si combatte nel mondo tra il Bene ed il Male, dovete dare il vostro nome alla Bandiera del Bene e avversare, senza tregua, il Male, respingendo ogni dubbia insegna, ogni transazione codarda, ogni ipocrisia di capi che cercano maneggiarsi fra i due; sulla via del primo, voi mâavrete, finchâio vivo, compagno.
E perchĂŠ quelle due Menzogne vi sono spesso affacciate con apparenze seduttrici e con un fascino di speranze che solo il culto di Dio e della VeritĂ può tradurre in fatti per voi, ho creduto debito di scrivere, a premunirvi, questo libretto. Io vâamo troppo per adulare alle vostre passioni o accarezzare i sogni dorati coi quali altri tenta ottenere favore da voi. La mia voce può apparirvi severa e troppo insistente a insegnarvi la necessitĂ del sagrificio e della virtĂš per altrui. Ma io so, e voi, buoni e non guasti da una falsa scienza o dalla ricchezza, intenderete fra breve, che ogni vostro diritto non può essere frutto che dâun dovere compito.
Addio. Abbiatemi ora e sempre vostro fratello
GIUSEPPE MAZZINI
Aprile 23, 1860.
I
INTRODUZIONE
Io voglio parlarvi dei vostri doveri. Voglio parlarvi, come il core mi detta, delle cose piĂš sante che noi conosciamo, di Dio, dellâUmanitĂ , della Patria, della Famiglia. Ascoltatemi con amore comâio vi parlerò con amore. La mia parola è parola di convinzione maturata da lunghi anni di dolori e dâosservazioni e di studi. I doveri châio vi indicherò, io cerco e cercherò, finchâio viva, adempirli, quanto le mie forze concedono. Posso errare, ma non di core. Posso ingannarmi, non ingannarvi. Uditemi dunque fraternamente: giudicate liberamente tra voi medesimi, se vi pare châio vi dica la veritĂ : abbandonatemi se vi pare châio predichi errore; ma seguitemi, e operate a seconda dei miei insegnamenti, se mi trovate apostolo della veritĂ . Lâerrore è sventura da compiangersi; ma conoscere la veritĂ e non uniformarvi le azioni, è delitto che cielo e terra condannano.
PerchĂŠ vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? PerchĂŠ, in una societĂ dove tutti, volontariamente o involontariamente, vâopprimono, dove lâesercizio di tutti i diritti che appartengono allâuomo vi è costantemente rapito, dove tutte le infelicitĂ sono per voi, e ciò che si chiama felicità è per gli uomini dellâaltre classi, vi parlo io di sagrificio, e non di conquista; di virtĂš, di miglioramento morale, dâeducazione, e non di ben essere materiale? Ă questione che debbo mettere in chiaro prima dâandare innanzi, perchĂŠ in questo appunto sta la differenza tra la nostra scuola e moltâaltre che vanno predicando oggi in Europa; poi, perchĂŠ questa è dimanda che sorge facilmente nellâanima irritata dellâoperaio che soffre.
Siamo poveri, schiavi, infelici parlateci di miglioramenti materiali, di libertĂ , di felicitĂ . Diteci se siamo condannati a sempre soffrire o se dobbiamo alla nostra volta godere. Predicate il Dovere ai nostri padroni, alle classi che ci stanno sopra e che trattando noi come macchine, fanno monopolio dei beni che spettano a tutti. A noi, parlate di diritti: parlate dei modi di rivendicarceli; parlate della nostra potenza. Lasciate che abbiamo esistenza riconosciuta; ci parlerete allora di doveri e di sagrifizio. Cosi dicono molti fraâ nostri operai, e seguono dottrine ed associazioni corrispondenti al loro desiderio; non dimenticando che una sola cosa, ed è: che il linguaggio invocato da essi sâè tenuto da cinquanta anni in poi senzâaver fruttato un menomo che di miglioramento materiale alla condizione degli operai.
Da cinquanta anni in poi, tutto quanto sâè operato pel progresso e pel bene contro ai governi assoluti o contro lâaristocrazia di sangue, sâè operato in nome dei Diritti dellâuomo, in nome della libertĂ come mezzo e del ben essere come scopo alla vita. Tutti gli atti della Rivoluzione Francese e dellâaltre che la seguirono e la imitarono, furono conseguenza dâuna Dichiarazione dei Diritti dellâuomo. Tutti i lavori dei Filosofi, che la prepararono, furono fondati sopra una teoria di libertĂ , sullâinsegnamento dei propri diritti ad ogni individuo. Tutte le scuole rivoluzionarie predicarono allâuomo, châegli è nato per la felicitĂ , che ha diritto di ricercarla con tutti i suoi mezzi, che nessuno ha diritto dâimpedirlo in questa ricerca, e châegli ha quello di rovesciare gli ostacoli incontrati sul suo cammino. E gli ostacoli furono rovesciati: la libertĂ fu conquistata; durò per anni in molti paesi; in alcuni ancor dura. La condizione del popolo ha migliorato? I milioni che vivono alla giornata sul lavoro delle loro braccia, hanno forse acquistato una menoma parte del ben essere sperato, promesso?
No; la condizione del popolo non ha migliorato; ha peggiorato anzi e peggiora in quasi tutti i paesi, e specialmente qui dovâio scrivo, il prezzo delle cose necessarie alla vita è andato progressivamente aumentando, il salario dellâoperaio in molti rami dâattivitĂ progressivamente diminuendo, e la popolazione moltiplicando. In quasi tutti i paesi, la sorte degli uomini di lavoro è diventata piĂš incerta, piĂš precaria; le crisi che condannano migliaia dâoperai allâinerzia per un certo tempo si son fatte piĂš frequenti. Lâaccrescimento annuo delle emigrazioni di paese in paese, e dâEuropa alle altre parti del mondo, e la cifra crescente sempre degli istituti di beneficenza, delle tasse pei poveri, dei provvedimenti per la mendicitĂ , bastano a provarlo. Questi ultimi provano anche che lâattenzione pubblica va piĂš sempre svegliandosi sui mali del popolo; ma la loro inefficacia a diminuire visibilmente quei mali, dimostra un aumento egualmente progressivo di miseria nelle classi alle quali tentano provvedere.
E nondimeno, in questi ultimi cinquanta anni, le sorgenti della ricchezza sociale e la massa dei beni materiali sono andate crescendo. La produzione ha raddoppiato. Il commercio, attraverso crisi continue, inevitabili nellâassenza assoluta dâorganizzazione, ha conquistato piĂš forza dâattivitĂ e una sfera piĂš estesa alle sue operazioni. Le comunicazioni hanno acquistato pressochĂŠ dappertutto sicurezza e rapiditĂ , e diminuito quindi, col prezzo del trasporto, il prezzo delle derrate. E dâaltra parte, lâidea dei diritti inerenti alla natura umana è oggi mai generalmente accettata: accettata a parole e ipocritamente anche da chi cerca, nel fatto, eluderla. PerchĂŠ dunque la condizione del popolo non ha migliorato? PerchĂŠ il consumo dei prodotti invece di ripartirsi equamente fra tutti i membri delle societĂ europee, sâè concentrato nelle mani di pochi uomini appartenenti a una nuova aristocrazia? PerchĂŠ il nuovo impulso comunicato allâindustria e al commercio ha creato, non il ben essere dei piĂš, ma il lusso dâalcuni?
La risposta è chiara per chi vuol internarsi un poâ nelle cose. Gli uomini sono creature dâeducazione e non operano che a seconda del principio dâeducazione che loro è dato. Gli uomini che promossero le rivoluzioni anteriori sâerano fondati sullâidea dei diritti appartenenti allâindividuo: le rivoluzioni conquistarono la libertĂ : libertĂ individuale, libertĂ di insegnamento, libertĂ di credenze, libertĂ di commercio, libertĂ in ogni cosa e per tutti. Ma che mai importavano i diritti riconosciuti a chi non avea mezzo dâesercitarli? che importava la libertĂ dâinsegnamento a chi non aveva nĂŠ tempo, nĂŠ mezzi per profittarne? che importava la libertĂ di commercio a chi non aveva cosa alcuna da porre in commercio, nĂŠ capitali, nĂŠ credito? La societĂ si componeva, in tutti i paesi dove quei principii furono proclamati, dâun piccolo numero dâindividui possessori del terreno, del credito, dei capitali; e di vaste moltitudini dâuomini non aventi che le proprie braccia, forzati a darle, come arnesi di lavoro, a quei primi e a qualunque patto, per vivere: forzati a spendere in fatiche materiali e monotone lâintera giornata: cosâera per essi, costretti a combattere colla fame, la libertĂ , se non unâillusione, unâamara ironia? PerchĂŠ nol fosse, sarebbe stato necessario che gli uomini delle classi agiate avessero consentito a ridurre il tempo dellâopera, a crescerne la retribuzione, a procacciare unâeducazione uniforme gratuita alle moltitudini, a rendere glâistrumenti di lavoro accessibili a tutti, a costituire un credito pel lavoratore dotato di facoltĂ e di buone intenzioni. Or perchĂŠ lo avrebbero fatto? Non era il ben essere lo scopo supremo della vita? Non erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi a tutte? PerchĂŠ diminuirsene il godimento a vantaggio altrui? Sâaiuti dunque chi può. Quando la societĂ assicura ad ognuno che possa lâesercizio libero dei diritti spettanti allâumana natura, fa quanto è richiesta di fare. Se vâè chi per fatalitĂ della propria condizione, non può esercitarne alcuno, si rassegni e non incolpi persona. Era naturale che cosĂŹ dicessero, e cosĂŹ dissero infatti. E questo pensiero delle classi privilegiate di fortuna riguardo alle classi povere, diventò rapidamente pensiero dâogni individuo verso ogni individuo. Ciascun uomo prese cura dei propri diritti e del miglioramento della propria condizione senza cercare di provvedere allâaltrui; e quando i propri diritti si trovarono in urto con quelli degli altri, fu guerra: guerra non di sangue, ma dâoro e dâinsidie: guerra meno virile dellâaltra, ma egualmente rovinosa: guerra accanita nella quale i forti per mezzi schiacciano inesorabilmente i deboli o glâinesperti. In questa guerra continua, gli uomini sâeducarono allâegoismo, e allâaviditĂ dei beni materiali esclusivamente. La libertĂ di credenza ruppe ogni comunione di fede. La libertĂ di educazione generò lâanarchia morale. Gli uomini, senza vincolo comune, senza unitĂ di credenza religiosa e di scopo, chiamati a godere e non altro, tentarono ognuno la propria via, non badando se camminando su quella non calpestassero le teste deâ loro fratelli, fratelli di nome e nemici di fatto. A questo siamo oggi, grazie alla teoria dei diritti.
Certo, esistono diritti; ma dove i diritti dâun individuo vengono a contrasto con quelli dâun altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti? E dove i diritti dâun individuo, di molti individui, vengono a contrasto coi diritti del paese, a che tribunale ricorrere? Se il diritto al ben essere, al piĂš gran ben essere possibile, spetta a tutti i viventi, chi scioglierĂ la questione tra lâoperaio e il capo manifatturiere? Se il diritto allâesistenza è il primo inviolabile diritto dâogni uomo, chi può comandare il sagrificio dellâesistenza pel miglioramento dâaltri uomini? Lo comanderete in nome della Patria, della SocietĂ , della moltitudine dei vostri fratelli? Cosâè la Patria, per lâopinione della quale io parlo, se non quel luogo in cui i nostri diritti individuali sono piĂš sicuri? Cosâè la SocietĂ , se non un convegno dâuomini, i quali hanno pattuito di mettere la forza di molti in appoggio dei diritti di ciascuno? E voi, dopo avere insegnato per cinquanta anni allâindividuo che la Società è costituita per assicurargli lâesercizio dei suoi diritti, vorrete dimandargli di sagrificarli tutti alla SocietĂ , di sottomettersi, occorrendo, a continue fatiche, alla prigione, allâesilio, per migliorarla? Dopo avergli predicato per tutte le vie che lo scopo della vita è il ben essere, vorrete a un tratto ordinargli di perdere il ben essere e la vita stessa per liberare il proprio paese dallo straniero, o per procacciare condizioni migliori a una classe che non è la sua? Dopo avergli parlato per anni in nome degli interessi materiali, pretenderete châegli, trovando davanti a sĂŠ ricchezza e potenza, non stenda la mano ad afferrarle, anche a scapito deâ suoi fratelli?
Operai Italiani, questa non è opinione venuta, senza appoggio di fatti, nella nostra mente; è storia, storia dei nostri tempi, storia le cui pagine grondano di sangue e sangue del popolo. Interrogate tutti gli uomini che cangiarono la rivoluzione del 1830 in una sostituzione di persone ad altre persone, e, a modo dâesempio, fecero dei cadaveri dei vostri compagni di Francia, morti combattendo nelle tre giornate, uno sgabello alla propria potenza: tutte le loro dottrine, prima del 1830, erano fondate sulla vecchia idea dei diritti, non sulla credenza nei doveri dellâuomo. Voi li chiamate in oggi traditori ed apostati, e non furono che conseguenti alla loro dottrina. Combattevano, con sinceritĂ , il governo di Carlo X, perchĂŠ quel governo era direttamente nemico alla classe dâonde essi uscivano, e violava, e tendeva a sopprimere i loro diritti. Combattevano in nome del ben essere châessi non possedevano quanto pareva loro di meritare. Alcuni erano perseguitati nella libertĂ del pensiero; altri, ingegni potenti, si vedevano negletti, allontanati dagli impieghi che occupavano uomini di capacitĂ inferiore alla loro. Allora anche i mali del popolo li irritavano. Allora scrivevano arditamente e di buona fede intorno ai diritti che appartengono a ogni uomo. Poi, quando i loro diritti politici e intellettuali si trovarono assicurati, quando la via agli impieghi fu loro aperta, quando ebbero conquistato il ben essere che cercavano, dimenticarono il popolo, dimenticarono che i milioni, inferiori ad essi per educazione e per desiderii, cercavano lâesercizio dâaltri diritti e la conquista dâun altro ben essere, posero lâanimo in pace e non si curarono dâaltri che di se stessi. PerchĂŠ li chiamate traditori? PerchĂŠ non chiamate invece traditrice la loro dottrina? Viveva e scriveva nello stesso tempo in Francia un uomo che non dovete dimenticare, piĂš potente dâingegno che essi tutti non erano: era allora nemico nostro; ma credeva nel Dovere: nel dovere di sagrificare lâintera esistenza al bene comune, alla ricerca e al trionfo della VeritĂ : studiava attento gli uomini e i tempi: non si lasciava sedurre dagli applausi, nĂŠ avvilire dalle delusioni: tentata e fallita una via, ritentava sopra unâaltra il miglioramento dei piĂš: e quando i tempi cangiati gli mostrarono un solo elemento capace di operarlo, quando il popolo si mostrò sullâarena piĂš virtuoso e credente che non tutti coloro i quali aveano preteso trattar la sua causa, egli, Lamennais, lâautore delle Parole dâun credente, che avete lette voi tutti, divenne il migliore apostolo della causa nella quale siamo fratelli. Eccovi, in lui e negli uomini deâ quali ho parlato, rappresentata la differenza tra gli uomini dei diritti e quei del Dovere. Ai primi la conquista dei loro diritti individuali, togliendo ogni stimolo, basta perchĂŠ sâarrestino: il lavoro dei secondi non sâarresta qui in terra che colla vita.
E tra i popoli interamente schiavi, dove la lotta ha ben altri pericoli, dove ogni passo che si move verso il bene è segnato dal sangue dâun martire, dove il lavoro contro lâingiustizia dominatrice è necessariamente segreto e privo dei conforti della pubblicitĂ e della lode, quale obbligo, quale stimolo alla costanza può mantenere sulla via del bene gli uomini che riducono la santa guerra sociale che noi sosteniamo a un combattimento pei loro diritti? Parlo, sâintende, della generalitĂ , e non delle eccezioni che esistono in tutte ...
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- Dei Doveri Dellâuomo
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- Prefazione di Donald Sassoon
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