La macchina mondiale
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La macchina mondiale

  1. 208 pagine
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La macchina mondiale

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Anteo Crocioni è un giovane contadino marchigiano degli anni '50. Conosce bene il suo lavoro e l'ambiente in cui vive, ama la moglie, la casa, la terra. Attraverso l'osservazione dei corpi animali e vegetali, le combinazioni di macchine immaginarie, la lettura di testi filosofici e scientifici, le meditazioni solitarie sulle stagioni, e sulle esperienze familiari e sociali, viene maturando la visione di un futuro «armonioso», di una «eterna» e «felice convivenza degli uomini», di una progressiva rigenerazione del mondo: e affida la sua utopia a un Trattato. Gli uomini, sostiene Anteo, «non sono creature del cielo ma macchine fabbricate da altri uomini», che possono e debbono perfezionarsi all'infinito, secondo una nuova filosofia morale.
I compaesani, ancora dominati dalla paura e dal sacro rispetto delle istituzioni, lo mettono presto al bando come ribelle e come «matto». Abbandonato anche dalla moglie, che non lo capisce, Anteo va a Roma per cercare di lei e far conoscere il suo Trattato: e lí la vicenda troverà la sua drammatica conclusione.
La macchina mondiale (1965) è il secondo romanzo di Paolo Volponi, che vi intreccia magistralmente i temi e i modi espressivi che gli sono cari: il rapporto fra mondo contadino e mondo industriale-cittadino, la carica eversiva dell'ideologia contro i ritardi, le chiusure e le sordità morali della società italiana, la fervida sperimentazione linguistica e stilistica. Per Volponi, come per Anteo, la vera pazzia è di quanti accettano l'infelicità e l'ingiustizia senza accorgersi della possibilità di una vita rinnovata e felice. Come ha osservato Gian Carlo Ferretti, «le pagine piu belle e piú nuove del romanzo sono quelle in cui il motivo della progettazione "scientifica" di Anteo e le sue esperienze dolorose e serene i di ogni giorno diventano momenti di una tenace, drammatica, agonistica e quasi eroica aspirazione a una vita diversa per tutti».

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2015
ISBN
9788858420751

Paolo Volponi

La macchina mondiale

Einaudi
Le persone e gli avvenimenti di questo romanzo sono inventati, anche se i riferimenti alla realtà storico-sociale sono molteplici, sebbene mai rappresentativi di situazioni particolari.
Le idee del protagonista sulla genesi e sulla palingenesi derivano da quelle che il signor P. M. V. sta svolgendo e sistemando, insieme con altre, in un trattato «Per la costituzione di una nuova Accademia dell’Amicizia di qualificato popolo».
Da questo trattato sono liberamente estratti, pur con molto rispetto dello spirito originale, i brani del romanzo in corsivo.
L’Autore avverte che chiunque abbia interesse a conoscere interamente le teorie esposte nel trattato, può mettersi in contatto, tramite suo, con il signor P. M. V., il quale è pronto a dare ogni notizia e chiarimento con molto slancio, perché da anni aspetta la discussione e i consigli di allievi e di sodali, la collaborazione di scienziati e l’interesse di editori.

La macchina mondiale

Il mio pensiero e la mia materia, le lacerazioni che si producono all’interno, nel tracciato della mia macchina e nell’accensione dei diversi commutatori, mi tengono anche vicino alle cose e ai fatti che camminano intorno a me, nella mia casa e nella mia campagna e in questo pezzo di terra marchigiana dalla parte dell’Appennino, che viene chiamato la parrocchia di San Savino. Qui intorno le cose vanno molto piano oppure fuggono rapidissime, ignoranti quanto accidentali; e non hanno ordine, come ancora non hanno ordine queste colline e questi scoscesi, i fossi ed i calanchi che da San Savino vanno verso Frontone o Monlione o l’Acquaviva; anche se i filari, le strade, il fumo dei camini e i riflessi dei vetri delle finestre compongono spesso tutti insieme, specie la domenica, una rete che può sembrare il disegno di un progetto meccanico, cioè il tentativo di una perfezione e di una felicità.
Qui intorno si trovano ancora confusi diverse concrezioni della materia, diversi strati; ed io ho sempre trovato un sasso, una piccola lama di pietrisco oppure un fossile che mi hanno indotto a pensare di essere su una lingua di terra dove le popolazioni non hanno mai avuto grandi civiltà e non hanno mai compiuto grandi sforzi: una lingua di terra ancora disarticolata ed ancora con gli accenti dei vari fenomeni naturali che vi battono sopra: la pioggia o il vento ed anche le nevicate e i temporali.
Questa lingua di terra mi pare vicina all’origine, accanto alla grande bocca, e forse per questo, osservandone l’elementare composizione, io ho potuto capire le cose che ho capito e che sto scrivendo in un altro libro a fianco di questo, in un trattato di filosofia e di meccanica che può spiegare la sorte dell’uomo, oltre che i motivi della sua posizione nell’universo, ed individuare le formule per la sua liberazione e per la composizione di una nuova accademia dell’amicizia fra tutti gli uomini della terra, una volta che gli stessi abbiano riconosciuto ed affermato la validità degli argomenti psicologici, il codice degli strumenti della scienza e coniato un automatismo che rispetti e sfrutti l’integrità ed il dinamismo di ogni forza.
Questo libro, invece, che affido ai lettori proprio come un libro che possano leggere anche dopo aver lavorato, o dopo aver oziato, o in un momento di attesa, spiegherà la mia sorte particolare, oltre alle mie convinzioni ed anche alle mie proposte che non sono mai state infelici: per esempio le questioni che sono state sollevate intorno a me ed il processo nel quale sono stato condannato e l’attesa dell’appello che dovrà essere celebrato nei prossimi mesi presso il Tribunale di Urbino.
Anche con questa frase di precisazione non sono arrivato a dire quello che ancora, subito, dirò direttamente e con violenza come se svitassi un bullone e lasciassi uscire l’acqua calda del radiatore. Voglio dire, la fuga di mio padre, che mi ha ridotto a vivere solo in questa terra di San Savino, e la vita nella mia casa abbandonata anche da mia moglie, la quale è andata a Roma anche lei a fare la bella vita dopo aver lasciato a tutti detto dei miei maltrattamenti, con tanta crudele invenzione di una verità da avermi fatto condannare pubblicamente e poi trascinare in tribunale.
Ma per raccontare ogni cosa con ordine e per non andare dietro il mio stesso sbuffo di vapore, e come esso svuotarmi e quindi smemorarmi, debbo cominciare con ordine da quei primi giorni durante i quali le mie idee iniziarono a manifestarsi. Da quei giorni perversi e sublimi durante i quali i meccanismi del mio cervello trovarono nella quiete, nella giusta umidità, nel ronzio stimolante ed amichevole degli insetti intorno all’uva, nell’ombra dove riposavo in quella fine d’estate, ormai che molti lavori erano stati compiuti ed ormai che anche mio padre aveva abbandonato l’idea che io potessi presentarmi un’altra volta all’esame della Licenza Magistrale Inferiore... trovarono i meccanismi del mio giovane cervello il primo segno della mia scoperta: quando la mia circolazione interna sembrava quasi abbandonare il mio corpo e trovare un altro percorso, inventare alcuni giri al margine della mia testa, quasi fra la mia testa e la radice delle querce e degli olmi che erano alla fine della vigna, dopo i pali di quella vigna che io stesso avevo rinforzato: su quel greppo dove stavo sdraiato dopo che avevo mangiato a casa e dove mi sentivo meglio per conto mio, proprio perché avevo capito che lí giungeva una corrente come se da una grossa conduttura fosse stata sollevata una bocchetta. Guardavo i miei piedi e capivo che qualcuno li aveva fabbricati.
In quei momenti era già molto importante ammettere quel concetto della fabbricazione e cominciare a guardare al cielo, sopra le rame degli olmi e delle viti, come ad una strada, come al percorso di un autore, che doveva poi essere il percorso di molti, affollato dalle orme non di un autore solo, ma di una moltitudine di autori; cioè di una popolazione primaria, assente, che stesse a guardare da lontano tutta con gli occhi celesti, o che non guardasse nemmeno, tenendo appena rivolta verso di noi la piú piccola, ed anche la meno sensibile, delle sue antenne e quasi disinnescata, per un controllo appena prudenziale, come capita al contadino che non si preoccupa certo di guardare a febbraio se il grano è già spigato e se è minacciato dalle averle.
Adesso nel mio trattato è scritto: Automa, Autore = Homo sapiens; Automa, non autore = regno minerale et vegetale; e vi sono contenute una serie di tabelle che raffigurano l’anatomia dell’immensa macchina del creato e dell’infinita tecnica della creazione.
E nel trattato sta scritto, alla fine della prima pagina: «come in un qualsiasi congegno automatico si ottiene un rendimento che oscilla tra un massimo ed un minimo, cosí anche in ogni concetto si riscontra una oscillazione tra due estremi che compongono contemporaneamente il risultato e che rinviandoselo l’uno all’altro lo mandano avanti».
In quel periodo oscillavo molto io stesso; tremavo e mi sentivo sottile ed agitato come l’ala, anzi il corpo intero di una vespa; e piú oscillavo e piú sentivo dentro di me comporsi chiaramente la macchina, delinearsi le regole della meccanica; comporsi per prima la mia stessa macchina, nei gesti di una gamba, di un ginocchio, nella congiunzione tra un gomito ed un ginocchio e nello scatto di un movimento, che partiva sempre da uno stimolo anche minimo che io potevo accendere con un interruttore interno sopra gli occhi: interno, dentro, non percettibile, che pure scattava e che pure potevo sentire scattare in quel silenzio come il gesto di una palpebra, come un altro dei movimenti di quel corpicino della vespa che stava sull’uva.
Ancora in quei tempi cominciò anche la mia materiale storia, che si svolgeva attraverso diversi proponimenti miei per cercare di sostanziare e corredare il mio pensiero, cioè le mie idee, interrogando il parroco ed altre persone, cercando libri da leggere, di scienze e soprattutto di matematica, cercando di avvicinarmi a mio padre e a mia madre ed anche alla contessa Carsidoni, che si trovava nella sua villa a Canneto, al di là del poggio, e che era stata amica di Marconi e che aveva molti libri e molte piante e carte di tutto il mondo a casa sua ed anche nella sua villa di Canneto.
La contessa Carsidoni fu la prima a mettere in guardia mio padre dalle mie ricerche; dopo che lei stessa mi aveva scacciato dalla sua libreria, dicendomi che nel catechismo sono comprese le risposte piú importanti e che conosciute queste risposte e mandatele a mente, la cosa piú importante è la pulizia del cuore, che è anche santità e sanità del lavoro e rispetto del mondo.
Mio padre mi aspettò con una corda e mi insegnò a bastonare; ed io da sotto vedevo come le bastonate traversassero la falda del suo cappello ed i suoi occhi, ed incupissero sempre piú il suo sguardo, e come egli dentro di sé doveva sentire, anche se aveva interrotto ogni corrente e ogni contatto con l’esterno, doveva pur sentire... emettendo quel suo fiato in tante ah! staccate, che scendevano con l’ultimo rumore delle bastonate, che era un rumore uguale a quello restituito da uno stagno dopo la caduta di un corpo e dopo che già le acque si sono ricomposte, ed anche le melme piú sotto: e quel rumore, che lo stagno restituisce, significa che si rompe quello spazio che il corpo caduto aveva come suo e che gli era stato destinato in superficie fra la terra e l’aria... mio padre doveva pur capire, perché qualcosa doveva certamente rompersi dentro di lui ogni volta che muoveva il braccio o che ripeteva l’intenzione di offendere, che egli stava contravvenendo le forze della vita e cercando di rompere una cosa che egli non aveva costruito e della quale non era padrone e che viveva e che aveva il suo spazio e le sue regole al di fuori di quelle sue proprie, staccate, senza alcuna relazione con le sue se egli alle sue negava ogni scopo con quella violenza, che faceva e ripeteva.
Posso dire che gli autori hanno fabbricato una macchina uguale all’altra, dando a tutte le stesse regole e anche la coscienza di queste regole; senza però voler dare a tutte le macchine una regola comune che avesse sede nella coscienza stessa della comunità, della possibile comunione e poi della conversione di tutte le regole verso uno scopo che potrebbe anche diventare, ed allora sarebbe il piú allettante, quello di una ribellione agli autori, di una liberazione dalla meccanica con l’invenzione di una supermeccanica e quindi di un supercorpo. A meno che gli autori siano tanto disinteressati da non preoccuparsi per niente della sorte di queste macchine, inventate da loro per uno scopo che poi si è estinto o che fosse, fin dall’inizio, ozioso esso stesso; o che si siano poi estinti essi autori, trasferendo magari qualcosa di loro nelle macchine stesse.
Ma io non posso ammettere l’ozio, io che sono stato spesso considerato ozioso perché sono andato soltanto per qualche tempo dietro ai miei pensieri e alla lettura delle regole che andavo scoprendo parola per parola, segno per segno su questa terra, negli uomini stessi, miei vicini e nella loro vita; io che considero invece a mia volta ozioso, cioè dannoso ed inutile, il lavoro che malamente faceva mio padre ed anche tutto il lavoro dei servi intorno alla contessa Carsidoni. Ma le giornate passavano dandomi ogni giorno una prova ed un risultato e legandomi sempre piú alla mia stessa scoperta che era, giorno per giorno, sempre piú giusta e che mi stringeva sempre piú a tutte le cose, ad ogni cosa che fosse dentro il giro di San Savino, nei poggi come in fondo ad una buca, o che fosse lontanissima, su per il cielo, sopra le montagne, nello splendore delle costellazioni o che traversasse, spentasi del tutto quella estate, con qualche migratore o con i branchi delle allodole e dei tordi.
Ma se riprendo i giorni debbo riprendere i fatti, anche con il rischio di abbandonare il trattato e di finire soltanto il giorno prima di finire la mia vita, e debbo cominciare a raccontare, perché anche questo conta, tanto piú se con l’intento e con la speranza, che è quella che riguarda gli altri che debbono muoversi per ascoltare, di preparare uno sgabello perché la gente piú facilmente possa salire sulla macchina del mio trattato; raccontare anche perché in molti fatti c’è la prova della scienza del mio trattato, della dinamica e della conseguenzialità di ogni composizione di parole e di numeri colle invenzioni che andavo scoprendo come ogni buon inventore, già fatte intorno a me e che appunto andavo soltanto collegando fra di loro e con la mia vita, e con tutta la vita materiale.
I primi giorni, cioè la prima prova, furono il fallimento di Mordi a Cagli e quindi la fuga del suo ministro dalle campagne di San Savino, del suo ministro che era mio padre, a Roma, insieme a mia madre, a Roma, dalle parti di Maccarese, per entrare come capoccia in una delle fattorie del Principe Torlonia. Quindi la conoscenza che io feci di Massimina a Pergola; quindi la mia frequentazione e ripetuta presenza a Serra Sant’Abbondio, paese di Massimina; i dibattiti politici a Serra; il mio contraddittorio al parroco e al frate nella chiesa; la mia cacciata definitiva da quel paese da parte di un gruppo di persone che mi perseguitava a sassate. Massimina mi ha sposato lo stesso, forse dopo che il frate e quel gruppo stesso di tiratori di sassi avevano capito e progettato che la mia rovina iniziasse proprio da quel matrimonio anche se Massimina mi amava ed io l’amavo come ancora l’amo pure dopo la sua fuga, anch’essa a Roma a servizio del Consigliere.
Tra i fatti, quello compiuto l’anno ’59 il giorno 14 del mese di settembre, in Pergola, avanti al Dottor Luciano Garbarini Vice Pretore – comparso Diotallevi Sergio, nato a Canneto di Pergola li 5-5-1925 ed ivi residente, bracciante, il quale opportunamente ha risposto:
Posso solo dichiarare in relazione ai rapporti fra il Crocioni Anteo e la di lui moglie Meleschi Massimina che il Crocioni, dopo non molti mesi dalle nozze, ebbe a schiaffeggiare la moglie in presenza degli operai che si trovavano nel campo di proprietà del Crocioni stesso.
D.R. Mi trovavo a lavorare nel mio terreno basso quando mi accorsi che a circa cento metri ancora piú in basso, dove il rischio di rotolare e di farsi male, senza nemmeno fermarsi in tempo, è maggiore, il Crocioni Anteo ebbe a dare una spinta alla di lui moglie, facendole cadere un cesto che la stessa portava in testa, contenente la colazione per gli operai addetti al lavoro dei campi.
D.R. Null’altro posso dire per conoscenza diretta dei rapporti fra i due coniugi in questione, perché spesso e volentieri mi trovo lontano dal paese seguendo gli ingaggi del mio lavoro.
D.R. Non ho altro da aggiungere.
L.C.S. F.to
Diotallevi Sergio
Chiesa, il Cancelliere
Il Vice Pretore
(firma illeggibile)
VERBALE DI ATTO DI ISTRUTTORIA
CON ISTRUZIONE SOMMARIA
L’anno 1959, il giorno 14 del mese di settembre in Pergola, avanti al Dottor Luciano Garbarini, Vice Pretore – è comparso De Angelis Vilfredo detto Lindone, nato a Buonconsiglio di Frontone il 6-2-1924, residente a San Savino, macchinista, il quale, opportunamente interrogato, ha risposto:
Abito nelle vicinanze dell’abitazione nella quale convivevano i coniugi Crocioni Anteo e Meleschi Massimina. In merito ai loro rapporti, per il periodo almeno della loro convivenza, posso affermare che nell’ambiente di tutto il paese il Crocioni Anteo gode fama di uomo violento ed accanito, cioè attaccabrighe oltreché ozioso, in particolar modo nei riguardi della moglie Meleschi Massimina; ozioso al punto da restare intere giornate sdraiato a guardare per aria oppure da rigirare nella rena con una canna tutto un giorno, come se fosse alla ricerca di una pietra preziosa, oppure da non uscire di casa per settimane, nemmeno dopo un temporale che avesse devastato le sue proprie colture.
D.R. Nulla posso affermare per cognizione diretta circa le scenate ed i maltrattamenti che il Crocioni si dice effettuava contro la di lui moglie. Posso solo dire che un giorno fui invitato dalla Meleschi Massimina a condurla presso l’abitazione dei suoi a Serra Sant’Abbondio e fu in tale circostanza che la stessa mi confidò come suo marito Crocioni Anteo l’avesse percossa ripetutamente per futili motivi, facendomi constatare, a prova delle sue affermazioni, una macchia ecchimosica sopra il ginocchio; sí, nella coscia.
D.R. Null’altro posso dire in quanto, essendo macchinista, spesso mi trovo fuori sede per ragioni del mio lavoro e quando torno a casa alla notte d’estate od alla mattina senza aver dormito, non ho certo tempo di pensare alle cattiverie del Crocioni. Una volta lo trovai, che ancora non era spuntata l’alba, incantato sulla porta di casa a disegnare sul muro e mi ricordo le parole che mi disse: «Macchinista, – mi disse, – sto disegnando una macchina che tu non hai mai provato e che non proverai mai».
D.R. Non ho altro da aggiungere.
VERBALE DI ATTO DI ISTRUTTORIA
CON ISTRUZIONE SOMMARIA
L’anno 1959, il giorno 14 del mese di settembre in Pergola, davanti al Dottor Luciano Garbarini assistito dal sottoscritto Cancelliere è comparso Astorri Eusebio, nato a San Savino di Frontone il 24-7-1929 ed ivi residente – commerciante (commerciante di niente, creato tale dalla D.C.) il quale opportunamente interrogato, ha risposto:
Circa i rapporti intercorrenti fra i coniugi Crocioni Anteo e la di lui moglie Meleschi Massimina sui quali la S.V. mi interroga, posso riferire che gli stessi sono sempre stati oltremodo tesi e soprattutto per il carattere violento e da esaltato del Crocioni il quale, fin da qualche tempo dopo le nozze, ha avuto a maltrattare la moglie con percosse di vario genere e frasi ingiuriose; spesso, data la vicinanza della mia abitazione a quella del Crocioni, la Meleschi Massimina appariva in pubblico con delle lividure al viso per le percosse del marito. Posso peraltro affermare che le scenate di violenza del Crocioni avevano luogo principalmente all’interno della sua abitazione.
D.R. Delle scenate di violenza alle quali ho potuto assistere posso riferire che qualche mese dopo le nozze, mentre mi trovavo a lavorare nel mio campicello vicino, il Crocioni Anteo maltrattava la moglie con schiaffi e percosse mentre la stessa effettuava dei lavori pesanti nell’appezzamento di proprietà del marito, a circa quaranta metri dal mio posto di osservazione. Non posso precisare i motivi che aveva il Crocioni Anteo di adottare un simile comportamento.
D.R. Fatti di violenza del genere di quello descritto si sono sempre verificati nel periodo di convivenza dei due coniugi dal ’56 al ’57.
D.R. Non ho altro da aggiungere.
Viene introdotta la teste Meleschi Rosanna.
D.R. Sono Meleschi Rosanna – nata il 22-7-1946 a Serra Sant’Abbondio ed ivi residente, sorella dell’attrice.
Interrogata sul Cap. VI risponde: «Ricordo che in un giorno dell’autunno ’56 mi trovavo presente allorché Crocioni Anteo a casa sua colpí ripetutamente mia sorella con pugni e schiaffi; non so per quale motivo la percosse e perché fosse cosí accanito. A quell’epoca avevo soltanto undici anni e mi spaventai talmente che mi misi a piangere. Non mi pare che fosse presente nessun’altra persona». (Alla teste vengono liquidate lire 440).
Debbo dire subito che in un paese piccolo come il mio e situato cosí lontano da tutto e con quella terra che ho detto, mi sembra strano che possano stare, abitare tali personaggi che recitano, raccontano delle bugie; e che si comportino come nemici dei loro stessi fratelli, di quelli che muovono la loro stessa terra; che possano comportarsi come ignoranti che non pensano a nessun destino e che non hanno mai capito il senso di nessun percorso, come se non avessero mai visto una stella traversare il cielo e aprirsi per il cielo o fra la neve, quando tutto sembra chiuso e serrato, una strada, la strada qualunque di un insetto o di una goccia o di un sasso e come alla fine questo sasso si appoggi in amicizia alle cose che trova per restare al suo posto. È chiaro che questi amici, che queste persone che io guardo camminare, che conosco, alle quali voglio bene come ad una parte della mia giornata e di tutto il macchinario, non hanno mai pensato ad una accademia della felicità, non hanno mai cercato di capire la sorte umana e non hanno mai guardato nemmeno il paes...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La macchina mondiale
  3. Il libro
  4. L’autore
  5. Dello stesso autore
  6. Copyright