Nei primi tre capitoli, abbiamo seguito la formazione, l’espansione e il trionfo del regime di storicità cristiano, vale a dire i modi in cui Kairos e Krisis hanno penetrato, identificato, governato e limitato Chronos. Con il quarto capitolo, abbiamo prestato attenzione alle dissonanze e alle fenditure, alcune delle quali potenzialmente rovinose, che sono apparse nell’ordine cristiano del tempo. Inizia un’oscillazione. Rendere conto di Chronos diventa piú difficile, proprio quando la conquista del tempo sembra compiersi, con la datazione per anni prima e dopo Cristo. L’Incarnazione è riconosciuta come il perno del tempo chronos e del tempo kairos o, piuttosto, lo è da sempre e per sempre. Contro i dubbi e le contestazioni, due sentinelle, una papista e l’altra fieramente anti-papista, hanno ancora difeso risolutamente il quadro biblico e l’orizzonte cristiano del tempo. Si poteva essere newtoniani e sostenere la veracità del Libro di Daniele, mentre Bossuet poteva storicizzare l’Apocalisse di Giovanni, pur conservandole la sua apertura profetica.
Ma le sentinelle non tarderanno a essere superate definitivamente. Sfuggendo all’influenza di Kairos che, propriamente, lo trascendeva, Chronos travolgerà tutto al suo passaggio. È questo l’oggetto del presente capitolo: il trionfo di Chronos tra la fine del XVIII e la metà del XX secolo. Non sono mancate resistenze e opposizioni, ma la città degli uomini passa sotto l’impero e l’influenza di Chronos. La formulazione piú compiuta e l’immagine piú possente del regime cristiano provenivano da Agostino con il suo racconto delle due città, quella di Dio e quella terrena, al contempo distinte e mescolate, e tenute a procedere insieme fino all’ultimo giorno. Dopo Costantino, ci sono stati cristiani che hanno pensato che ci fosse, in realtà, una sola città: la città cristiana incarnata dalla Chiesa. Nel XII secolo, Ottone di Frisinga ne aveva fatto l’argomento capitale della sua grande opera. Ma, anche con la finzione mantenuta a lungo del Sacro romano impero germanico come erede e continuatore di Roma, questa visione di una città unica diventa a poco a poco insostenibile. Si avranno, nuovamente, due città, benché, questa volta, la Chiesa debba progressivamente battere in ritirata e rinunciare alla sua influenza sul tempo chronos, ridefinendosi o ripiegando sul tempo kairos, che costituisce il suo ambito.
Le ultime tappe di questo ritiro dalla sfera del temporale interverranno solo con la dissoluzione dello Stato pontificio nel 1870 e, in Francia, con la separazione tra Chiesa e Stato nel 1905. Ma, nel 1846, la Vergine appare ai due pastorelli di La Salette, dettando loro una lettera in cui annuncia carestie e patimenti. Nella sua battaglia contro il mondo moderno, Pio IX proclama, nel 1854, il dogma dell’Immacolata Concezione. Nel 1858, la Vergine appare diciotto volte nella grotta di Massabielle a una giovane di quattordici anni, Bernadette Soubirous, dichiarandole: «Io sono l’Immacolata Concezione»1. Queste apparizioni, che sono altrettanti lampi di Kairos rivolti a fanciulli innocenti, suscitarono un’intensa commozione e controversie, mentre cominciarono immediatamente pellegrinaggi a Lourdes e a Notre-Dame de La Salette. La Chiesa trova cosí modi rinnovati per essere presente nel mondo, grazie al rilancio del Kairos attraverso la madre di Gesú.
Per quanto riguarda il tempo, la grande trasformazione che ha condotto all’emergere del tempo moderno presuppone lo smantellamento del regime di storicità cristiano. Questo non significa affatto la sua scomparsa. Al contrario. Le categorie di secolarizzazione o di laicizzazione di cui disponiamo, e che sono state diffusamente utilizzate, sono troppo ampie e vaghe per cogliere il passaggio da un regime all’altro; questo, infatti, non avviene in un solo giorno e, inoltre, richiede la convergenza di svariati fattori politici, sociali, economici, culturali2. Ma il risultato netto è che al presentismo apocalittico delle origini si sostituisce impercettibilmente il futurismo del regime moderno di storicità. Per restare entro i limiti della nostra indagine, seguiamo cosa diventano Kairos e Krisis, oltre ai grandi operatori di temporalizzazione (la translatio, la renovatio, la accommodatio e la reformatio) che, messi a punto dai Padri, sono stati mobilitati e rielaborati sino alla fine del XVII secolo. Hanno ancora un posto, un ruolo possibile, e sotto quale forma nella nuova economia del tempo che si instaura? Sono in qualche modo recuperabili? La questione è complessa, ma è centrale per comprendere in che modo si è plasmato e imposto il tempo moderno.
La serratura biblica salta.
Il quadro cronologico della Bibbia è stato una sfida permanente. L’impegno di formularlo, mantenerlo, difenderlo, adattarlo senza dirlo o dicendolo ha costantemente mobilitato la Chiesa, a partire dai cronografi per passare ai teologi, agli esegeti, senza omettere naturalmente i millenaristi e gli apocalittici di varia obbedienza. In breve, l’argomento non è mai stato una questione secondaria. Abbiamo già sottolineato fino a che punto questo quadro fosse diventato un giogo a cui si cercava, attraverso vari artifici, di sfuggire, pur assicurando che lo si manteneva, anzi lo si rinforzava3.
Nel corso del XVIII secolo, il giogo cede. Non si tratta piú di fessure che si aprono nel regime di storicità cristiano o di falle che si propagano, ma comincia un vero e proprio smantellamento. Sorgono controversie sull’età della Terra: piú arretra, piú diventano insostenibili i seimila anni della cronologia sacra. Due intellettuali della seconda metà del XVIII secolo testimoniano in modo esemplare dell’abbandono di fatto dell’orizzonte cristiano del tempo: il conte di Buffon e il marchese di Condorcet. Con le loro opere, i limiti, tanto in direzione del passato quanto dell’avvenire, diventano caduchi. Privato dei suoi limiti di riferimento, il presentismo cristiano si trova da allora disorientato. Anche il Diluvio perde la sua centralità, e la Genesi non è piú un’allegoria, diventa semplicemente una favola, di cui Voltaire può farsi beffe.
«L’oscuro abisso del tempo»
Molto piú degli attacchi di Voltaire, sarà il testo del conte di Buffon Epoche della natura a demolire il regime cristiano. Cominciando a illustrare quello che egli ha chiamato «l’oscuro abisso del tempo» e, pur dichiarando il suo rispetto per le verità della Bibbia, intraprende un vero e proprio smembramento del regime cristiano, screditandone la struttura4. Rimasto l’unico a operare, il tempo chronos diventa attore, e un attore autosufficiente. È con lui e attraverso di lui, infatti, che la Terra, inizialmente in stato di fusione, si è lentamente raffreddata e che comincia la storia della Natura, di cui Buffon rintraccia le epoche successive. «Il grande operaio della Natura è il tempo», scriveva già nel VI tomo (1756) della Storia naturale. Come esiste una storia della Natura vivente, esiste una storia della Terra, e le due sono legate, secondo quanto dimostra la Storia naturale delle epoche della Natura (1779). La scelta delle parole del titolo è significativa: in quanto naturale, questa storia, che ha per motore il tempo, fa a meno di Dio. La Natura ha una storia propria che è scandita da «epoche». Si pensa evidentemente alle epoche di Bossuet, ma Jacques Roger, il suo editore moderno, sottolinea che nel XVIII secolo la parola era di uso corrente e che Buffon non è il primo a usarla per designare eventi determinanti che scandiscono la storia della Terra5. Per contro, c’è uno slittamento del senso della parola da punto d’arresto, da cui contemplare il prima e il dopo, a quello di periodi, di cui occorre misurare la durata con precisione. Bossuet, fedele all’etimologia greca della parola, conosceva solo il primo senso, quello di punto d’arresto, e dunque di punto di vista.
Buffon scrive:
Come nella storia civile si consultano i documenti, si ricercano le medaglie, si decifrano le antiche iscrizioni, al fine di stabilire quali siano state le epoche delle rivoluzioni umane, e per fissare le date degli avvenimenti morali, cosí nella storia universale si deve rovistare negli archivi del mondo, si devono estrarre dalle viscere della terra i vecchi monumenti, raccogliere i loro resti, e riunire in un corpo di prove tutte le tracce dei cangiamenti fisici che possono farci risalire alle diverse età della natura. È questo il solo mezzo per fissare qualche punto nell’immensità dello spazio e per porre qualche pietra numeraria sulla via eterna del tempo.
Alla «immensità dello spazio» corrisponde «la via eterna del tempo»: le parole contano. Dopo questa prima frase maestosa, che annuncia con calma sicurezza il procedimento e l’ambizione di questa nuova Storia, Buffon aggiunge inoltre che «la storia naturale invece abbraccia egualmente tutti gli spazi, tutti i tempi, e non ha altri limiti all’infuori di quelli dell’universo», mentre la storia civile si muove all’interno di rigidi limiti cronologici e spaziali6. A cominciare dai limiti costituiti dai «seimila o ottomila anni» delle «sacre tradizioni»: esse sono chiaramente incompatibili con le durate necessarie per il raffreddamento della Terra. Buffon, che si è dedicato a calcoli sperimentali sul tempo necessario a sfere di ferro incandescenti per raffreddarsi, ha stabilito varie cronologie. Quella che infine ha pubblicato è una cronologia breve rispetto ad altre che ha conservato fra i suoi appunti. Tra la formazione dei pianeti e il XVIII secolo d.C., sono trascorsi settantacinquemila anni; passati centosessantottomila, il raffreddamento porrà fine alla natura vivente sulla Terra7. Queste durate superano già di molto le durate bibliche, ma eccedono anche, secondo Buffon, «il potere limitato della nostra intelligenza». Pertanto, illustrare la sua cronologia estesa, che contava quasi tre milioni di anni fino al XVIII secolo e poneva la fine al termine di sette milioni di anni, avrebbe indignato oltre ogni limite la Sorbona e sarebbe andato ben oltre il verosimile per i suoi contemporanei. Avrebbe scambiato un inverosimile per un altro! In realtà, come scrive Jacques Roger,
gli spiriti piú svincolati dalla lettera del dogma non erano però liberi da abitudini intellettuali già molto vecchie. Non potevano immaginare «l’oscuro abisso» di un’antichità cosí prodigiosa, abisso in cui l’uomo non era piú nulla, abisso ancora piú inconcepibile di quello degli spazi infiniti che con il suo eterno silenzio suscitava lo spavento di Pascal. Era tutta la Creazione a cambiare volto8.
Buffon conclude pertanto, forse rivolgendosi alla posterità, «ben lungi dallo spingere troppo lontano i confini della durata, io li ho ravvicinati nei limiti del possibile»9. Tanto quanto gli è stato possibile, per non eccedere troppo il verosimile del suo tempo.
Quando si confronta con i primi versetti della Genesi,...