Prima lezione sulla televisione
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Prima lezione sulla televisione

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Prima lezione sulla televisione

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Lo scenario è a 10 chilometri da Manhattan, dove si stende una grande area chiamata Flushing Meadows, che prima era una palude infestata dalle zanzare.È il 30 aprile del 1939. Si apre l'Esposizione Universale di New York. La Rca, la società che possiede la catena radiofonica Nbc, presenta l'ultima meraviglia delle meraviglie, una 'cosa' chiamata tv e, poco dopo, il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt viene inquadrato mentre pronuncia il discorso di inaugurazione.Comincia così la storia della scatola magica più diffusa al mondo: Aldo Grasso spiega come è cambiata e perché la nostra cultura dal momento in cui ci siamo fermati a guardarla.

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Informazioni

Anno
2011
ISBN
9788858103050

I generi della televisione

4.1. La serialità americana

Da tempo, la televisione generalista ha abbassato i suoi standard linguistici e instaurato il regno dell’eccezionale. Questo principio regolatore – va in onda solo ciò che può colpire l’audience – ha ormai contaminato la nostra vita sociale, persino la politica. Si comincia a constatare come sia in atto una planetaria trasformazione dell’ideologia. Lo scrittore Milan Kundera ha chiamato questa metamorfosi «imagologia»: «Le ideologie facevano parte della storia, mentre il dominio dell’imagologia inizia là dove la storia finisce»39. Ogni programma, ormai, si pone al di là del Bene e del Male, dell’utile e dell’inutile, nel senso che non c’è più lavoro produttivo, ma soltanto lavoro riproduttivo. Non ci sono più consumi produttivi e consumi improduttivi: il tempo libero è altrettanto produttivo del lavoro, quindi riproduttivo. Viviamo non più nella contemplazione estetica della riproducibilità ma nel dominio assoluto della medesima. E allora, tanto vale abbandonarsi a un genere che riesce ancora, nella convenzione dei generi, a farci partecipi della meraviglia che si prova quando si incontrano le cose per la prima volta.
Adesso che alcune serie come Sex and the City, Desperate Housewives, Lost, I Soprano hanno ottenuto un grande successo «di pubblico e di critica» diventa più facile sostenere che la buona televisione, la tanto ricercata televisione di qualità, esiste da tempo. Anzi, non c’è mai stata una televisione tanto vitale, intelligente e ricca di risonanze metaforiche e letterarie come l’attuale. Sembra quasi un paradosso ma spesso si fa fatica a trovare un romanzo moderno o un film che sia più interessante di un buon telefilm40. C’è in giro, ad esempio, un’opera che rappresenti un viaggio metafisico fra i segreti del Male più avvincente di Twin Peaks?
Destino vuole che la cattiva televisione, la nostra quotidiana cattiva televisione, generi un’orda sterminata di cattivi discorsi sulla televisione: come sempre, la moneta falsa scaccia quella vera per convincerci della inevitabilità del trash. «La televisione è un’idra a tre teste. Una delle sue bocche riversa sullo spettatore un fiume di parole e di discorsi rozzi, assertivi, manipolatori: dalla televendita alla discussione ideologica passando per i giochi di massa, i dibattiti di società e le risse da salotto. La seconda cerca o finge di spiegare il mondo attraverso programmi d’informazione, documentari, testimonianze. La terza sussurra fiction... Ispirate al mondo umano, come lo sono quelle della letteratura e del cinema, [le fiction] lottano senza posa per diventare migliori, con humour e dignità. E per rendere, di rimando, il mondo migliore»41.
Da quando in Italia le reti digitali hanno permesso di seguire con regolarità le serie televisive (considerate prima come un riempitivo, suscettibile di ogni alterazione in palinsesto), ci si è finalmente accorti che il telefilm è il genere che meglio d’altri rappresenta le molteplici spinte, contrastanti e spesso irrazionali, dei nostri giorni. Naturalmente, la straordinarietà di molti telefilm sta nella scrittura con cui queste vicende si legano e si dipanano, si sostengono e si rilanciano nell’obbligatorietà degli appuntamenti settimanali42. Sorrette, in genere, da un’ottima sceneggiatura e da un ritmo calibrato, le storie presentano quasi sempre più risvolti, uno “esterno” e uno “interno”: uno pubblico, riguardante un tema che coinvolge la comunità, e uno più intimo. Gli americani non amano fare prediche sull’educazione civile, preferiscono mettere in scena i molti tormenti da cui sono afflitti, scelgono di renderli in questo modo casi esemplari, ricordi incancellabili, apologhi notturni.
Da alcuni anni, dalla serie cult Star Trek a X-Files, da Dawson’s Creek a Six feet under, da CSI a NYPD, da Buffy a Ally McBeal, da Dr. House a 24, i telefilm raccontano storie affascinanti per parlare anche d’altro: le immagini non vogliono soltanto dire quello che mostrano ma “vibrano” in continuazione, rimandano a un mondo dissimulato, ad alcuni significati inesauribili, a un altrove che non conosciamo. La sensazione è che nei telefilm americani si lavori per una nicchia di pubblico che sta diventando sempre più decisiva nella spartizione dell’audience, per un linguaggio sciolto da ogni vincolo di obbedienza ideologica o sociale.
Il dato più significativo è questo: i telefilm sono ricolmi non solo di citazioni attinte a piene mani dalla grande letteratura, dal grande cinema, dal grande teatro, ma trasudano strutture narrative, tecniche figurative, procedimenti “rubati” a modelli alti. Ripetizione, standardizzazione, ripresa, serialità: tutti fenomeni che non sono tipici della televisione ma che attraversano da sempre la produzione letteraria mondiale e, semmai, rivelano ora nuove dinamiche della creatività, nuovi ritmi imposti dalla produzione industriale. È difficile che un ragazzo si accosti ancora alla grande narrativa ottocentesca, che affidi le sue pene d’amore a un libro di Stendhal, di Jane Austen, persino di Cesare Pavese, che cerchi di placare le sue angosce esistenziali con Henry James o Joseph Conrad o Franz Kafka. Ma è molto probabile che lo stesso ragazzo sappia tutto di The O.C., di Beverly Hills, di Dawson’s Creek ed è molto probabile che in queste serie trovi orme di soluzioni linguistiche tratte dagli autori appena citati (ben conosciuti dagli sceneggiatori). Stessa cosa per il cinema, per gli evergreen, per la moda. Succede, insomma, che l’educazione sentimentale degli adolescenti di tutto il mondo si formi ora sui cosiddetti teen drama, sui telefilm di “formazione” per l’appunto.
Oltre ad accrescere il loro livello di auto-riflessività, le serie televisive degli ultimi anni si sono affermate spesso come modelli di “testualità di culto” destinati a generare fandom43, ovvero forme di fruizione intensa, dedicata, appassionata sino all’estremo limite dell’immedesimazione, colorate da toni affettivamente caldi, diffuse particolarmente fra i giovani spettatori delle ultime generazioni. Come già succede per altri oggetti di consumo culturale (il cinema dei cult movie, certe forme di letteratura, alcune icone della musica pop e via dicendo), anche la televisione, nella forma soprattutto del teen drama, è stata in grado di creare fenomeni “di culto”, una complessa forma di telefilia.
A differenza dei cult movie, che normalmente si rivolgono a gusti minoritari e definiti gruppi d’interesse, le serie cult sono spesso programmi mainstream, frutto di consistenti investimenti produttivi, e si rivolgono sia a un tradizionale pubblico di massa sia a una base di fan consacrati al prodotto (così consacrati da dar vita a interessanti forme di feedback). Per questo alcuni telefilm di successo rappresentano anche la “buona letteratura” dei nostri giorni.
I telefilm organizzano la loro struttura narrativa intorno a logiche seriali, per cui Umberto Eco ha proposto due modelli fondativi: la saga e la serie. La serie (per esempio CSI) mette sempre in scena dei personaggi fissi e, con minime variazioni, ripete gli stessi eventi; proprio come la maggior parte dei fumetti, da Superman a Tex Willer, o come la serie delle avventure gialle di Hercule Poirot o di Miss Marple. La saga, invece, prende dei personaggi e li mette al centro di una lunga storia, poi i personaggi muoiono o scompaiono (come in Beautiful, come nelle telenovelas brasiliane) e la storia continua coi loro figli e nipoti, cugini e cognati. «La saga è sempre in effetti una serie mascherata. In essa, a differenza della serie, i personaggi cambiano (cambiano in quanto si sostituiscono gli uni agli altri e in quanto invecchiano): ma in realtà essa ripete, in forma storicizzata, celebrando in apparenza il consumo del tempo, la stessa storia, e rivela all’analisi una fondamentale astoricità e atemporalità. Ai personaggi di Dallas accadono più o meno gli stessi eventi: lotta per la ricchezza e per il potere, vita, morte, sconfitta, vittoria, adulterio, amore, odio, invidia, illusione e delusione. Ma accadeva diversamente ai cavalieri della Tavola Rotonda, vaganti per le foreste bretoni?»44. Ripetizione, standardizzazione, ripresa, serialità: fenomeni, tuttavia, che non sono tipici dell’epoca contemporanea dei media, ma che attraversano da sempre la produzione letteraria mondiale e, semmai, rivelano ora nuove dinamiche della creatività, nuovi ritmi imposti dalla produzione industriale. Nei telefilm-saga i personaggi nascono, si sposano, muoiono, spesso per mere ragioni contrattuali; i loro nipoti avranno gli stessi guai dei loro nonni, ma caratteri e situazioni che sembrano diversi; soprattutto c’è una crescita dei personaggi a ritmo televisivo. Nei telefilm-serie i personaggi non nascono, non muoiono, rimangono immobilizzati in un’età ideale; la loro «staticità» è comunque una staticità televisiva, sono congelati eppur si muovono a venticinque fotogrammi al secondo.
Oggi si preferisce classificare i telefilm diversamente, soprattutto in base al formato, alla morfologia (episodio “chiuso” o puntata “aperta”), alla narrativa (evoluzione cronologica o meno delle vicende e dei personaggi). È possibile perciò distinguere tra alcune grandi famiglie:
Serie, che è suddivisa in episodi, cioè segmenti narrativi conchiusi senza sviluppo cronologico delle vicende, e che prevede un ritorno ciclico del tempo;
Serial, che è suddiviso in puntate, cioè segmenti narrativi aperti con sviluppo cronologico delle vicende, e che prevede uno sviluppo lineare del tempo;
Miniserie (o miniserial) che è suddivisa in puntate, da due a sei, e prevede uno sviluppo cronologico delle vicende attraverso un percorso narrativo molto breve rispetto ad altre forme seriali ed è perciò definita una «forma seriale debole»;
Film per la tv, storia compiuta che non presenta caratteri di serialità, la cui durata è di circa 90 minuti (al netto dei break pubblicitari), e che è la forma più affine al lungometraggio cinematografico.
In realtà, ognuno di questi formati seriali è a sua volta composto da sottoformati, che spesso compaiono in un preciso momento storico, legati come sono a esigenze produttive, al tipo di pubblico cui si rivolge il telefilm, alla complessità della narrazione che si vuole costruire. Seguendo la distinzione proposta da Milly Buonanno45, è possibile suddividere la serie e il serial in diverse sottofamiglie.
Lost, Desperate Housewives, 24 sono tutti serial. Storicamente però il serial si è identificato con il suo sottoformato più diffuso e popolare, il continuous serial, contraddistinto dal numero elevato di puntate e dalla lunghissima durata del percorso narrativo. Il continuous serial è a sua volta suddiviso in due famiglie, spesso tra loro confuse, ma che si presentano distinte per la diversa temporalità della struttura narrativa o per l’area geografica produttiva: il continuous serial chiuso, che prevede una conclusione delle vicende narrate, e prende il nome di telenovela, forma seriale televisiva nata nei paesi dell’America Latina (Messico, Cuba, Brasile, Puerto Rico); il continuous serial aperto, che non prevede cioè una chiusura narrativa del racconto, e viene invece definito soap opera, genere caratteristico degli Stati Uniti, dell’Europa (ma in Gran Bretagna viene normalmente definito real drama) e dell’Australia.
A partire dagli anni Ottanta, però, serie e serial si avvicinano sempre di più, e nasce la serie serializzata, nella quale ogni episodio mantiene una sua autonomia con una storia conclusa (anthology plot), ma contemporaneamente presenta una continuità narrativa interepisodica e un’evoluzione cronologica attraverso alcune vicende, di solito legate alla vita personale dei personaggi, che si prolungano per più episodi (running plot). Successivamente, molte serie serializzate hanno utilizzato running plot protratti da una stagione all’altra (come in Lost) e non legati solamente alle vicende personali dei protagonisti. Il confine tra serie serializzata e serial si è fatto perciò sempre più labile, e il telefilm si è reso più complesso proprio per il moltiplicarsi delle linee narrative e temporali46.
Sono in molti ormai a riconoscere ai telefilm tutta la dignità che meritano. In fondo, anche il telefilm seriale si propone come uno specchio ideale nel quale gli autori riflettono la loro stessa immagine, innanzitutto mentale, e attraverso il quale emergono le loro pulsioni nascoste e le derive dell’immaginario. Probabilmente, poi, è proprio la molteplicità dei generi – in un format tipicamente postmoderno com’è il telefilm (caratterizz...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Le origini della televisione
  3. Piccola storia della televisione italiana
  4. Pensare la televisione
  5. I generi della televisione
  6. Televisione e convergenza
  7. Bibliografia essenziale