La scoperta dell'ambiente
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La scoperta dell'ambiente

Una rivoluzione culturale

Stefano Nespor

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La scoperta dell'ambiente

Una rivoluzione culturale

Stefano Nespor

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Come abbiamo scoperto l'importanza dell'ambiente e della salute del nostro pianeta? Un viaggio attraverso le tappe fondamentali che hanno portato alla nascita della coscienza ambientalista contemporanea.

La nuova visione del mondo che ha assegnato all'ambiente un posto di rilievo si è affermata velocemente nel corso di questi ultimi sessant'anni. Ci sono stati alcuni momenti di particolare importanza che hanno fatto registrare un salto di qualità. Ciascuno di essi è fotografato da un libro che ha rappresentato un momento decisivo e ha impresso una svolta nella storia dell'ambientalismo, arricchendola con una nuova prospettiva o valorizzando un aspetto importante in precedenza ignoto o, più semplicemente, non ancora imposto all'attenzione dall'evolversi della realtà. Così, a partire dalle prime denunce dell'inquinamento alla presa di coscienza dei limiti della crescita economica e demografica, dallo sviluppo sostenibile fino alla consapevolezza del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici, viene tessuta la storia della nascita e dello sviluppo del movimento ambientalista a livello globale.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788858141748

1.
Primavera silenziosa (1962)
o la scoperta del pericolo

Il 1962 è l’anno della crisi di Cuba, del culmine della Guerra fredda, della corsa agli armamenti e dell’intensificarsi degli esperimenti nucleari, della gara tra Stati Uniti e Unione Sovietica per la conquista dello spazio (del 1961 è il primo volo umano nello spazio del sovietico Jurij Gagarin). È anche l’anno che segna il tramonto del colonialismo: mentre si espande la guerra in Vietnam nonostante le promesse di una sua rapida conclusione, sorgono nuove nazioni africane tra cui l’Algeria, il Ruanda, l’Uganda, che portano a venti gli Stati africani indipendenti. In Italia si apre la stagione delle riforme: del 1962 sono le riforme della scuola, della legge urbanistica, e la nazionalizzazione dell’energia elettrica.
In questo stesso anno appare un libro destinato a diventare l’atto di nascita e il simbolo dell’ambientalismo moderno: Silent Spring.
C’era una volta una città nel cuore degli Stati Uniti dove la vita sembrava scorrere in armonia con l’ambiente. La città si trovava nel mezzo di una rete di prospere fattorie, con campi di grano e colline di frutteti dove, in primavera, bianche nuvole di boccioli ondeggiavano nel vento sopra i campi coltivati. In autunno, querce, aceri e betulle fiammeggiavano di colori, con la foresta di pini sullo sfondo. Le volpi lanciavano i loro ululati sulle colline e i cervi saltavano attraverso i campi, seminascosti dalla nebbia autunnale. Lungo le strade, siepi di bosso e di alloro, ontani, felci e fiori selvatici rallegravano l’occhio di chi le percorreva. Perfino in inverno le strade di campagna erano particolarmente attraenti, perché innumerevoli uccelli si nutrivano delle bacche e dei semi rimasti nelle gemme rinsecchite trattenute dagli arbusti sporgenti dalla neve. La campagna era famosa per l’abbondanza e la varietà degli uccelli che la popolavano e, quando gli uccelli migratori arrivavano in primavera e in autunno, la gente veniva anche da lontano per osservarli. Altri venivano a pescare nei corsi d’acqua, che fluivano chiari e freschi dalle colline e formavano delle pozze dove le trote deponevano le uova. Così era stato sin dai tempi in cui, molto tempo fa, i primi coloni avevano costruito le loro case, scavato i pozzi ed eretto i fienili.
D’improvviso una piaga maligna colpì questo territorio e tutto cominciò a cambiare. Qualche maledizione si era fermata sugli abitanti: malattie misteriose decimavano il pollame, i bovini e le pecore si ammalavano e morivano... C’era una strana immobilità nell’aria. Gli uccelli per esempio – dove erano andati a finire? Molta gente parlava di questo fenomeno con sgomento... i rari uccellini che si potevano vedere erano moribondi; assaliti da tremiti, non potevano più spiccare il volo. Era una primavera senza canti... un completo silenzio dominava sui campi, nei boschi e sugli stagni.
Una città come questa non esiste davvero, ma ha molti esempi in migliaia di luoghi negli Stati Uniti e nel mondo. Nessuno è stato colpito da tutte le calamità che ho descritto. Ma ciascuno di questi eventi si è verificato da qualche parte.
Che cosa ha reso silenziose le voci della primavera in innumerevoli paesi degli Stati Uniti? Questo libro è un tentativo di scoprirlo.
È la pagina iniziale dell’opera: i toni sono quelli di una favola per bambini che racconta di un mondo pieno di gioia, scomparso a causa di un maligno incantesimo.
Nel dopoguerra l’ambiente non esiste né a livello internazionale né a livello statale, non è altro che un contenitore di materie prime da utilizzare e trasformare: il GATT, stipulato nel 1947 tra i paesi ricchi per disciplinare il commercio internazionale, e sostituito molti anni dopo dall’Organizzazione mondiale del commercio, pone come obiettivo il «completo sfruttamento delle risorse mondiali». Poi, all’inizio degli anni Sessanta, il tema dell’ambiente ricompare nei paesi ricchi, sospinto dalle proteste contro l’uso dell’energia nucleare. Anche in Italia, pur con ritardo. Non bisogna sorprendersi: osserva Simona Colarizi in un suo recente studio (Un paese in movimento. L’Italia negli anni Sessanta e Settanta) che il miracolo economico della fine degli anni Cinquanta, se innescava una straordinaria crescita economica e l’avvio di una moderna democrazia, non cancellava all’improvviso arretratezze secolari di ogni tipo che segnavano una profonda distanza dal resto d’Europa.
Dominava ovunque quella che è stata definita l’ideologia dello sviluppo o «ideologia della crescita, come si dovrebbe dire senza tanti infingimenti», osservava Alexander Langer in un suo intervento ai «Colloqui di Dobbiaco 94»1.
In quegli anni il blocco dei paesi a economia di mercato, guidato dagli Stati Uniti, e il blocco dei paesi socialisti, guidato dall’Unione Sovietica, progettano – ciascuno per conto proprio e in contrapposizione all’altro – la nuova politica economica mondiale. Lo sviluppo economico e industriale assume un ruolo dominante per entrambi, anche se con modalità diverse. Per i primi, sviluppo significa esclusivamente crescita illimitata dell’economia governata dalle leggi del mercato; per l’Unione Sovietica, invece, è lo strumento per consolidare il controllo sull’area sottoposta alla propria egemonia nell’ambito di un’economia pianificata a livello centrale.
Sono progetti molto diversi, ma con un elemento in comune: non c’è posto per una politica dell’ambiente. In entrambi il degrado ambientale era considerato come l’inevitabile prezzo da pagare per garantire la crescita economica. Gli anni Sessanta sono infatti pomposamente qualificati dalle Nazioni Unite come «la decade dello sviluppo»: saranno invece caratterizzati dal disgregarsi del mito dello sviluppo. Questi progetti hanno ritardato per decenni la comparsa di temi riguardanti la tutela dell’ambiente, la salute della collettività, la valutazione dei rischi prodotti dal progresso tecnologico.
Tuttavia, va sgombrato il campo da un equivoco: l’assenza dell’ambiente nel dopoguerra non è dipesa dal fatto che esso non fosse ancora un argomento di rilievo a livello internazionale. Questa spiegazione fa comodo sia a quelli su cui grava la responsabilità della cancellazione dell’ambiente per privilegiare l’obiettivo di una illimitata crescita economica (sono forze politiche che appartengono a ogni schieramento politico), sia a quelli che vogliono attribuirsi il merito di aver “inventato l’ambiente” qualche decennio dopo. La tutela dell’ambiente nei suoi vari aspetti era infatti presente già da molto tempo nei paesi più sviluppati, con importanti riflessi sia a livello nazionale che internazionale. Fin dalla metà del XIX secolo in Gran Bretagna c’erano esperti ambientali che operavano nell’immenso territorio coloniale inglese e che divengono, nella letteratura celebrativa dell’impero che ha come maggiore rappresentante Rudyard Kipling, eroi della natura e della civiltà: essi ammoniscono il mondo sull’importanza di preservare il patrimonio forestale per evitare la desertificazione e le alterazioni del clima.
Nello stesso periodo sorgono le prime importanti organizzazioni che si propongono finalità di ricerca, di studio e divulgazione in ambito naturalistico e ambientale: nel 1858 nascono la London Natural History Society e la Birmingham Natural History Society; del 1872 è la British Entomological and Natural History Society. Di qualche anno successiva è la fondazione della più importante organizzazione ambientalista attualmente operante in India, la Bombay Natural History Society. Nello stesso periodo nascono negli Stati Uniti due tra le più importanti organizzazioni ambientaliste, tuttora attive: del 1886 è la Audubon Society, del 1892 il Sierra Club. È proprio la pressione di queste organizzazioni sui rispettivi governi a condurre nel 1900 all’approvazione della prima convenzione internazionale in materia di ambiente: la Convenzione per la conservazione degli animali, degli uccelli e dei pesci in Africa, sottoscritta a Londra (la Convenzione non impedisce tuttavia l’enorme espansione della caccia all’elefante che determina la scomparsa di questo animale in molte regioni africane: tra il 1924 e il 1945 vengono abbattuti nella sola Rhodesia del Sud – oggi Zambia – oltre 300.000 elefanti). Ancora in Gran Bretagna viene fondata nel 1913 la prima organizzazione di ecologi professionisti: è la British Ecological Society (BES), con lo scopo di «promuovere e incoraggiare lo studio dell’ecologia nel suo senso più ampio». Si sviluppano anche le società ornitologiche e per la protezione degli uccelli. Si giunge nel 1922 alla creazione a Londra del Comitato internazionale per la protezione degli uccelli (CIPU). La prima convenzione internazionale in materia viene sottoscritta tra gli Stati americani nel 1937: è il Trattato per la protezione degli uccelli migratori. Negli stessi anni (1928) viene fondato a Bruxelles, a opera dell’olandese Pieter van Tienhoven e dello svizzero Paul Sarasin, l’Office international pour la protection de la nature (OIPN) che, divenuto Union internationale pour la conservation de la nature et de ses ressources (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources, IUCN) e denominato oggi World Conservation Union, è attualmente la più importante organizzazione internazionale in materia ambientale (presente in quasi 100 Stati, collabora con decine di agenzie statali e oltre 800 organizzazioni non governative; alle sue iniziative partecipano circa 10.000 scienziati ed esperti dei vari settori). Infine, il diffondersi dell’attenzione per la conservazione della natura aveva portato alla creazione di molti parchi nazionali fin da quando, nel 1872, era stato istituito il primo parco con finalità sia protezionistiche sia educative, a Yellowstone, negli Stati Uniti (al 1914 risale il primo parco nazionale europeo, istituito in Svizzera).
Già nella seconda metà degli anni Cinquanta, tuttavia, la fiducia nella crescita economica come esclusivo motore dello sviluppo si attenua nei paesi ricchi. Questo non vuol dire che oggi l’ideologia della crescita sia scomparsa, anzi: attraverso quel distorto strumento di misura che è il prodotto interno lordo, il PIL (che, come aveva detto Robert Kennedy, è uno strumento che «misura tutto, meno le cose che rendono la vita degna di essere vissuta»), è forse divenuta ancor più pervasiva. Ma oggi, a differenza di allora, il tema dell’ambiente è presente nella mente di chi governa e funge da freno per ciò che è ammissibile per produrre crescita.
I primi segni di cedimento della fiducia nella crescita sono offerti dall’energia nucleare. All’inizio del decennio era l’energia del futuro. I gruppi industriali e finanziari coinvolti diffondevano stime che garantivano, in pochi decenni, elettricità a prezzi stracciati rispetto a quella prodotta con il carbone o il petrolio. I dati erano entusiasticamente confermati dal governo americano e dalle agenzie interessate allo sviluppo di questa fonte di energia. Il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower con un discorso alle Nazioni Unite lancia il programma Atoms for Peace e Lewis Strauss, il presidente della statunitense Atomic Energy Commission, afferma che in un futuro assai prossimo centinaia di centrali nucleari avrebbero soddisfatto il fabbisogno di energia di intere città, sostenuto una nuova agricoltura, permesso di eliminare la maggior parte delle malattie: «i nostri figli avranno energia così a buon prezzo che sarà troppo costoso misurarla».
Si avvia così una corsa da parte delle società produttrici di elettricità alla realizzazione di centrali nucleari. In poco meno di un ventennio, nei soli Stati Uniti, ne vengono ordinate oltre 240 di costo e potenza crescente. Nel frattempo, nel 1957, viene istituita in Europa la Comunità europea dell’energia atomica (nota come Euratom): si legge nel preambolo che «l’energia nucleare costituisce la risorsa essenziale che... permetterà il progresso delle opere di pace».
La realtà sarà diversa. Già nel 1946 il più importante periodico culturale statunitense, il «New Yorker», aveva dedicato un intero fascicolo al saggio Hiroshima, di John Hersey, che documentava, con una intervista a sei sopravvissuti, la catastrofe provocata dalla bomba; nello stesso anno, l’economista Virgil Jordan aveva pubblicato il Manifesto per l’era atomica esponendo tutte le paure della nuova epoca. Il succedersi di esperimenti nucleari sempre più potenti da parte di Stati Uniti, Unione Sovietica e Francia andava inoltre diffondendo nell’opinione pubblica il timore non solo di un conflitto nucleare globale ma anche di ripercussioni sulla salute per gli effetti delle radiazioni, cui si aggiungeva quello di incidenti provocati dalle centrali nucleari allora in corso di progettazione e costruzione.
Nascono così, nel mezzo della Guerra fredda, i primi movimenti di protesta contro il nucleare. In Europa, è attivo il filosofo tedesco Günther Anders, cugino di Walter Benjamin, rifugiatosi nel 1936 negli Stati Uniti e ritornato a Vienna nel 1950: nelle sue opere indica Hiroshima come l’inizio di una nuova epoca nella quale il futuro dell’umanità nel suo insieme è divenuto precario.
Negli Stati Uniti un ruolo importante è svolto da Barry Commoner, figlio di immigrati ebrei russi, docente di biologia nella Università di Saint Louis, nel Missouri, che fonda e dirige il Comitato per l’informazione nucleare (St. Louis Committee on Nuclear Information) per spiegare all’opinione pubblica i rischi derivanti dagli esperimenti nucleari condotti dal governo statunitense nel deserto del Nevada e denunciare le consapevoli menzogne della posizione ufficiale...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Primavera silenziosa (1962) o la scoperta del pericolo
  3. 2. I limiti dello sviluppo (1972) o la scoperta del limite
  4. 3. Il nostro comune futuro (1987) o la scoperta della sostenibilità
  5. 4. Governare i beni collettivi (1990) o la scoperta della fiducia
  6. 5. Una scomoda verità (2006) o la scoperta dell’impegno
  7. Conclusione
Stili delle citazioni per La scoperta dell'ambiente

APA 6 Citation

Nespor, S. (2020). La scoperta dell’ambiente ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3461426/la-scoperta-dellambiente-una-rivoluzione-culturale-pdf (Original work published 2020)

Chicago Citation

Nespor, Stefano. (2020) 2020. La Scoperta Dell’ambiente. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3461426/la-scoperta-dellambiente-una-rivoluzione-culturale-pdf.

Harvard Citation

Nespor, S. (2020) La scoperta dell’ambiente. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3461426/la-scoperta-dellambiente-una-rivoluzione-culturale-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Nespor, Stefano. La Scoperta Dell’ambiente. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2020. Web. 15 Oct. 2022.