Modelli criminali
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Modelli criminali

Mafie di ieri e di oggi

Michele Prestipino, Giuseppe Pignatone

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
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Modelli criminali

Mafie di ieri e di oggi

Michele Prestipino, Giuseppe Pignatone

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Nessuno meglio di Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino può raccontarci che cosa sono le mafie oggi. Con Modelli criminali i due autori analizzano il Dna di Cosa nostra, i rituali arcaici e pseudoreligiosi della criminalità calabrese, la trasformazione delle gang romane.Francesco Grignetti, "La Stampa"

Una preziosa fonte di informazione sia per gli addetti ai lavori, sia per chi si approccia per la prima volta allo studio delle mafie.Vincenzo Scalia, "il manifesto"

Da Cosa nostra alla 'ndrangheta, fino a Mafia capitale: due tra i protagonisti della nostra storia giudiziaria recente ce ne svelano strutture, caratteristiche, differenze, punti di forza e debolezza.

Le mafie non sono invincibili, ma è fondamentale conoscerle a fondo per tenere alta la guardia, in ogni parte del Paese.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858144329

1.
La dimensione organizzativa

1. Dal maxiprocesso a «Crimine-Infinito»

Gli ultimi trent’anni di indagini e processi hanno assicurato un flusso di informazioni di grande rilievo ai fini della ricostruzione dei modelli operativi adottati nel corso del tempo da Cosa nostra e dalla ’ndrangheta per esercitare il proprio potere criminale. Nell’azione di contrasto a Cosa nostra, possiamo individuare il vero e proprio spartiacque nel maxiprocesso e poi nelle stragi del 1992-1993, che del resto proprio nella sentenza già ricordata pronunciata il 30 gennaio 1992 trovano la loro causa scatenante.
Dopo quegli eventi la reazione dello Stato, in termini di impegno delle risorse umane e materiali, è risultata vincente: lo testimoniano i successi conseguiti. I devastanti effetti delle numerose collaborazioni con la giustizia e delle penetranti iniziative investigative hanno prodotto, con significativa continuità e progressione, un gran numero di condanne definitive inflitte a capi e gregari, di patrimoni confiscati e di capi latitanti assicurati alla giustizia, consentendo di ridimensionare drasticamente e in qualche caso di smantellare molte articolazioni e strutture operative dell’organizzazione mafiosa e di dare concretezza all’esigenza di riaffermare la presenza dello Stato e il principio di legalità.
Al riguardo, la conferma più «qualificata» giunge dalle parole degli stessi mafiosi. Il boss palermitano Salvatore Lo Piccolo già il 19 giugno 2005, scrivendo all’allora capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano a proposito di una vecchia delibera della Commissione, sottolinea: «Si tratta di un impegno e di una decisione di almeno venticinque anni fa, da allora ad oggi molte persone non ci sono più [...]. Siamo arrivati al punto che siamo quasi tutti rovinati, e i pentiti che ci hanno consumato girano indisturbati. Purtroppo ci troviamo in una situazione triste e non sappiamo come nasconderci». All’epoca latitanti, i due boss Provenzano e Lo Piccolo di lì a poco sarebbero anch’essi stati tratti in arresto.
Anche nei confronti della ’ndrangheta, negli ultimi vent’anni, si sono succedute iniziative investigative e processuali di grande importanza: a partire dagli anni Novanta si sono stratificate diverse ricostruzioni del fenomeno ’ndranghetista e del suo modello operativo, fatto di elementi quasi immutabili e di altri in continua evoluzione, di regole arcaiche e scelte di modernità. Tali ricostruzioni hanno tuttavia illuminato solo alcune zone – sia pure significative – di tale mondo criminale, con la conseguenza che per lungo tempo è mancata una lettura aggiornata della situazione complessiva di questa organizzazione criminale. Si è già detto, infatti, che in questa materia la bontà delle ricostruzioni dipende inevitabilmente dalla quantità e dalla qualità dei dati di conoscenza che emergono dalle indagini.
Negli ultimi anni sono emersi elementi e fatti nuovi che, insieme a quelli già acquisiti, hanno reso possibile una ricostruzione per linee più generali e complessive anche di questo modello criminale.
Della valenza di tali attività investigative ha dato conto Ernesto Lupo (primo presidente della Corte di Cassazione dal 2010 al 2013) nella Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011:
Sono stati evidenziati l’intensità dei collegamenti della ’ndrangheta con organizzazioni criminali operanti in altre parti del territorio nazionale e su scala internazionale; il collegamento egemonico con insediamenti ’ndranghetisti nell’Italia centrale e settentrionale, dediti alle varie attività illecite e, in particolare, al traffico di sostanze stupefacenti e alla consumazione di reati conseguenti il reimpiego di capitali illecitamente acquisiti. Mentre permangono le preoccupazioni per la pressione estorsiva in danno d’imprese impegnate nella costruzione di tratti autostradali calabresi, è stata fortemente sottolineata l’avvenuta sprovincializzazione della ’ndrangheta, che ha assunto dimensioni interregionali e internazionali, acquisendo le peggiori connotazioni delle altre più antiche organizzazioni criminali, anche con tendenza al superamento della dimensione di microcosmi a struttura familiare e localistica verso la caratterizzazione di cellule interdipendenti e collegate al vertice da strutture sovraordinate.
È una questione che merita di essere approfondita, con una premessa di metodo. Se sono davvero molte – tutte di significativo rilievo – le iniziative investigative avviate negli ultimi anni sulla ’ndrangheta, e già pervenute con successo a numerose verifiche giurisdizionali, anche definitive, l’indagine dalla quale sono scaturiti in gran numero fatti dimostrativi, elementi informativi e spunti di riflessione di portata davvero straordinaria è quella mediaticamente conosciuta come «Crimine», per la parte sviluppatasi a Reggio Calabria e nella sua provincia, e come «Infinito», per la parte che ha riguardato la Lombardia. Ci riferiamo all’indagine condotta tra il 2009 e 2010 in costante coordinamento investigativo dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Reggio Calabria e da quella di Milano.
Nel commentare l’importanza di tali attività di indagine, lo storico inglese John Dickie, nel suo volume Onorate Società, ha sottolineato come «l’‘Operazione Crimine’ [...] a prescindere da quale sarà l’esito finale rappresenta una lezione di umiltà per chiunque cerchi di scrivere del mondo segreto della criminalità organizzata italiana: in qualsiasi momento le certezze storiche possono essere rovesciate da nuove indagini della polizia, o da qualche nuova scoperta in uno dei tanti archivi non ancora esplorati»1.
In realtà, non si tratta di una sola attività investigativa, ma di più attività i cui risultati sono derivati dall’ascolto, dall’analisi e dalla valutazione di una grande quantità di prove, costituite in particolare da attività di intercettazione. Queste attività sono state effettuate da diverse forze di polizia, nell’ambito di procedimenti distinti, pur se collegati, dalle Direzioni distrettuali antimafia di Reggio Calabria e Milano prima e da quella di Torino poi. La circostanza non è irrilevante perché l’esperienza giudiziaria dimostra che l’indice di validazione di una ricostruzione è tanto più alto quanto maggiori sono i contesti investigativi, soprattutto se non omogenei, nei quali essa può trovare riscontro. E in effetti queste risultanze probatorie sono state sottoposte con esito positivo al vaglio di più giudici, il vero banco di prova di ogni ipotesi ricostruttiva.
Si fa riferimento alle pronunce dei diversi giudici di merito, prima, della Corte di Cassazione, poi, che – come si è già ricordato – hanno definito i diversi tronconi processuali che hanno avuto origine dalle due indagini2.
Ebbene, sono proprio tutte queste risultanze probatorie, raccolte negli ultimi trent’anni, sia con riferimento a Cosa nostra che alla ’ndrangheta, che evidenziano l’emergere con forza di alcuni profili principali, ognuno scomponibile in più questioni, che costituiscono altrettanti parametri sulla scorta dei quali può senz’altro essere orientata un’analisi, anche comparativa, sui due modelli criminali.
Il primo profilo è quello connesso alla dimensione organizzativa, e di questo tratteremo nei paragrafi che seguono.

2. Far parte dell’organizzazione

Il sistema di potere accumulato ed esercitato nel tempo da Cosa nostra e dalla ’ndrangheta si fonda in primo luogo sul fattore organizzativo. La conservazione e l’accrescimento di tale sistema di potere sono affidati all’esistenza di una struttura organizzata efficiente e all’interazione di un vertice che ne assuma la direzione.
Proprio questo fattore organizzativo è il primo elemento costitutivo attraverso cui può trovare spiegazione la continui­tà storica delle mafie, organizzazioni complesse a vocazione economica. In un suo saggio pubblicato qualche anno fa, l’economista Vincenzo Ruggiero spiega in termini macroeconomici la forza espansiva delle mafie sui mercati. Per le attività illecite proprie delle mafie, infatti (gioco d’azzardo, scommesse clandestine, estorsioni, contrabbando ecc.), è necessario un numero elevato di soggetti che sono organizzati in modo strutturato. Inoltre, mentre le piccole imprese sono più costose a causa dei diversi costi generali di gestione e di quelli di alcuni elementi di tecnologia, solo le grandi imprese possono generare più facilmente condizioni di monopolio, che notoriamente agevolano la diffusione dell’economia criminale3.
Certo, le strutture organizzate possono essere caratterizzate da fattori di complessità diversi, evolvere nel tempo secondo linee non omogenee, e ancor più possono divergere tra loro i modelli con i quali ne viene assicurata la governance dall’organismo di vertice. Anzi, proprio su quest’ultimo punto, Cosa nostra si differenzia in modo significativo – come vedremo – dalla ’ndrangheta. In ogni caso, tuttavia, le strutture organizzate appaiono indispensabili per garantire la sopravvivenza di queste, come di ogni altra organizzazione di tipo mafioso.
Non solo: altra caratteristica fondamentale che, sotto il profilo in esame, accomuna entrambi i modelli criminali mafiosi è che la struttura organizzativa, anche qui in proporzioni e forme diverse, si presenta «chiusa» al proprio interno e, all’opposto, «aperta» verso l’esterno. Come è stato efficacemente sottolineato da Rocco Sciarrone, in questo modo la chiusura del gruppo è funzionale a garantire coesione interna e a difendere il gruppo dall’offensiva degli avversari o delle forze dell’ordine. L’apertura, invece, è funzionale a favorire le relazioni dei gruppi criminali verso l’esterno, consentendo una loro moltiplicazione e la diversificazione negli ambiti di interesse4.
A partire da queste premesse, è possibile approfondire la questione della dimensione organizzativa lungo diverse prospettive di analisi e confronto dei due distinti modelli criminali. Una prima prospettiva di analisi è quella relativa ai modelli della struttura organizzativa.
Le risultanze acquisite consentono di scomporre due distinti ambiti di analisi: quello cosiddetto intra-organizzativo, connesso cioè ai rapporti tra gruppo criminale radicato in un determinato territorio e singolo componente di esso, e quello inter-organizzativo, relativo alle modalità di coordinamento tra le diverse strutture della stessa organizzazione criminale.
Muovendo da questa distinzione, si è spesso sottolineato come, sotto l’aspetto intra-organizzativo, le cosche della ’ndrangheta presentino una struttura più gerarchica di quella che si registra nelle «famiglie» di Cosa nostra; all’inverso, sotto l’aspetto inter-organizzativo, la verticalizzazione sembra caratterizzare maggiormente il modulo proprio di Cosa nostra. Più in particolare, sotto tale ultimo profilo, per lungo tempo, si è contrapposto al carattere «orizzontale» della struttura della ’ndrangheta quello «verticale» di Cosa nostra.
Ma cerchiamo di approfondire questa prospettiva di analisi, a partire dalla questione centrale del modello che negli ultimi quindici/venti anni tali sodalizi hanno conferito alle proprie strutture organizzative.
Se per Cosa nostra il modello organizzativo base da tempo accertato è quello della unitarietà dell’organizzazione, un modello stabile nell’ambito del quale per esigenze diverse si sono poi stratificati mutamenti e adattamenti quanto ai rapporti tra le sue diverse articolazioni territoriali, per la ’ndrangheta il modello base unitario risulta accertato, come si vedrà, solo da poco tempo, come risultato processuale cristallizzatosi a seguito di un lungo e articolato work in progress, frutto di precedenti momenti processuali, in occasione dei quali era stato di volta in volta valorizzato il collegamento, anche di natura federativa, tra cosche che, in assenza di una complessiva strategia comune, sceglievano di collegarsi per la realizzazione di interessi illeciti comuni di settore, ovvero per la conclusione di singoli affari criminali.
E, tuttavia, prima di approfondire ulteriormente i diversi aspetti di tale questione, c’è un elemento essenziale, che in qualche modo è alla base stessa della concezione unitaria dell’organizzazione mafiosa e che accomuna indistintamente i due modelli criminali: si tratta del fattore identitario che contraddistingue, soggettivamente, il far parte dell’organizzazione.
Ciò che eme...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Nota
  3. Parte prima. Cosa nostra e ’ndrangheta
  4. Premessa. Indagare e comprendere
  5. 1. La dimensione organizzativa
  6. 2. I modelli di espansione
  7. 3. La cultura della mafia
  8. Parte seconda. Le «piccole mafie»
  9. Premessa. Oltre il folclore
  10. 1. C’è la mafia a Roma?
  11. 2. «Roma è il futuro»: le mafie tradizionali e i loro affari nella capitale
  12. 3. Le «piccole mafie» di Roma: dal caso Ostia ai Casamonica
  13. 4. «Mafia capitale» ovvero la teoria del mondo di mezzo
  14. 5. Il «laboratorio» del basso Lazio
  15. Parte terza. Un mondo di affari
  16. Premessa. Follow the money!
  17. 1. L’«area grigia»
  18. 2. Corruzione vecchia e nuova
  19. 3. I patrimoni mafiosi
  20. Conclusioni. La mafia non è invincibile
Stili delle citazioni per Modelli criminali

APA 6 Citation

Prestipino, M., & Pignatone, G. (2021). Modelli criminali ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3461954/modelli-criminali-mafie-di-ieri-e-di-oggi-pdf (Original work published 2021)

Chicago Citation

Prestipino, Michele, and Giuseppe Pignatone. (2021) 2021. Modelli Criminali. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3461954/modelli-criminali-mafie-di-ieri-e-di-oggi-pdf.

Harvard Citation

Prestipino, M. and Pignatone, G. (2021) Modelli criminali. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3461954/modelli-criminali-mafie-di-ieri-e-di-oggi-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Prestipino, Michele, and Giuseppe Pignatone. Modelli Criminali. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2021. Web. 15 Oct. 2022.