Ulisse
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Ulisse

Il viaggio della ragione

Simone Beta, Luigi Marfé, AA.VV., Simone Beta, Simone Beta

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Il viaggio della ragione

Simone Beta, Luigi Marfé, AA.VV., Simone Beta, Simone Beta

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Il primo personaggio della letteratura occidentale e il primo uomo moderno, Ulisse, l'eroe che i Greci chiamavano Odisseo: l'eroe che osò superare le colonne d'Ercole, il viaggiatore inquieto simbolo dell'eterna ricerca, l'uomo diviso fra l'amore per la propria patria, la casa, la sposa e il fascino dell'ignoto, dell'inesplorato: forse l'eroe che più di ogni altro ci è vicino, un eroe imperfetto, che non si sottrae all'avventura, che dubita, si contraddice, ma sempre alza lo sguardo all'orizzonte, mai sazio di esplorare, di scoprire, di superare i propri limiti, di sperimentare e di conoscere. Dante nel XXVI canto dell' Inferno gli fa dire: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Celebri terzine che riportano l'attenzione sulla vocazione più alta dell'uomo che Ulisse ci invita, come lo stesso Dante, a non tradire.

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Information

Publisher
Pelago
Year
2021
ISBN
9791280714510

Il racconto del mito

Jean-Auguste-Dominique Ingres immagina un Ulisse dallo sguardo rivolto all’infinito nel suo dipinto del 1827 conservato alla National Gallery of Art, Washington D.C.
Jean-Auguste-Dominique Ingres immagina un Ulisse dallo sguardo rivolto all’infinito nel suo dipinto del 1827 conservato alla National Gallery of Art, Washington D.C.
Chi, oggi, solca d’estate le limpide acque delle isole ioniche a sud di Corfù, navigando pigramente tra Leucade, Cefalonia e Zacinto, prova di certo un brivido nel passare davanti alle coste rocciose di Itaca, la lunga isola che è rimasta legata per sempre al nome di Odisseo, l’Ulisse dei latini, uno dei personaggi più famosi della mitologia classica. Per l’eroe che ha permesso ai Greci di conquistare Troia dopo dieci lunghi anni di assedio grazie allo stratagemma del cavallo di legno, Itaca è insieme un sogno e un incubo: un sogno perché, dopo un periodo così lungo trascorso combattendo contro i Troiani, lontano dalla moglie Penelope, dal figlio Telemaco e dai suoi vecchi genitori, Odisseo non vede l’ora di tornare nella sua isola; un incubo perché il viaggio di ritorno dalle coste dell’Asia Minore si rivela molto più lungo e difficile del previsto. Le peripezie dell’eroe di Itaca sono raccontate nei dettagli dall’Odissea, il secondo dei poemi attribuiti all’autore più antico della letteratura greca, il poeta Omero; ma Odisseo ha un ruolo tutt’altro che secondario anche nel primo di questi poemi, l’Iliade, che narra una parte della guerra che Greci e Troiani combattono sotto le mura della città governata dal vecchio Priamo. Ma per quale motivo Ulisse, e con lui l’esercito greco, affronta un viaggio così lungo per conquistare Troia? Tutto era nato dall’affronto che il giovane Paride, uno dei cinquanta figli del re di Troia Priamo, aveva commesso nei confronti di Menelao, re di Sparta, uno dei più potenti signori della Grecia: mentre era suo ospite, si era innamorato di sua moglie, la bellissima Elena, e l’aveva portata con sé a Troia.

La guerra di Troia

A dir la verità, la colpa non era tutta di Paride. Qualche giorno prima, mentre il bel giovane stava pascolando il gregge di suo padre alle pendici del monte Ida, gli si erano presentate davanti tre dee, che gli avevano chiesto di giudicare quale delle tre fosse la più bella. Hera, moglie di Zeus, gli aveva promesso che, se l’avesse giudicata la più bella, lo avrebbe reso il re di tutta l’Asia; Atena, figlia di Zeus, gli aveva promesso come ricompensa la saggezza e la vittoria nelle imprese militari; ma Paride aveva preferito il dono di Afrodite, la dea dell’amore, che gli aveva promesso la donna più bella del mondo – Elena, per l’appunto.
In ogni caso, il rapimento di Elena aveva provocato un vero e proprio terremoto non soltanto nel palazzo di Menelao, ma in tutta la Grecia. Questo perché i principi greci, che erano stati tutti innamorati della bella Elena, avevano a suo tempo promesso a Tindaro, suo padre, che, se fosse successo qualcosa alla donna, sarebbero intervenuti a difesa dell’onore di suo marito. Ecco perché il comportamento del principe troiano aveva avuto come conseguenza l’allestimento di una massiccia spedizione militare che, sotto la guida di Agamennone, fratello di Menelao, salpò verso le coste dell’Asia Minore per vendicare l’offesa ricevuta.
Naturalmente non tutti i signori della Grecia avevano accettato di buon grado la necessità di mantenere la parola data. Odisseo, per esempio, aveva fatto di tutto per sottrarsi al patto che aveva sottoscritto con Tindaro: per evitare di partire, si era finto pazzo. Ma Palamede, che era stato mandato da Menelao a reclutarlo per la spedizione, era stato più astuto di lui. Non appena sbarcato sull’isola di Itaca, Palamede era stato condotto alla presenza di Odisseo, perché vedesse con i propri occhi come l’eroe fosse davvero impazzito. Solo sulla riva del mare, Odisseo correva per la spiaggia spingendo davanti a sé un aratro e gettando sale nei solchi, come se stesse seminando. Ma Palamede aveva strappato Telemaco, il figlioletto appena nato, dalle braccia di sua madre Penelope, e l’aveva posato a terra proprio sulla traiettoria dell’aratro, costringendo Odisseo a scartare bruscamente; Palamede aveva ripetuto il gesto per altre due volte, e per due volte Odisseo aveva deviato il corso dell’aratro per non uccidere Telemaco. Alla fine l’eroe si era arreso, aveva confessato il suo trucco ed era partito per Troia, lasciando nel palazzo di Itaca la moglie, il figlio, suo padre Laerte e sua madre Anticlea.
Tuttavia, prima di raggiungere Troia, con la sua astuzia, destinata a divenire proverbiale, Odisseo aveva smascherato un altro disertore che, come lui, aveva cercato di evitare la chiamata alle armi. Avendo saputo che suo figlio Achille sarebbe morto combattendo davanti alle mura di Troia, la madre Teti l’aveva portato a Sciro, dal re Licomede, chiedendogli di nasconderlo tra le sue figlie dopo averlo vestito da donna. Quando Ulisse lo venne a sapere, andò da Licomede portando in dono, alle sue figlie e alle sue ancelle, un cesto che conteneva, insieme a molti oggetti tipicamente femminili (vestiti e gioielli), anche qualche arma; senza degnare di uno sguardo né i vestiti né i gioielli, Achille si era lanciato su uno scudo e su un giavellotto (o, secondo un’altra versione, su una tromba di guerra), svelando così la sua natura maschile. La storia è narrata con grande ricchezza di particolari dal poeta latino Stazio, il quale verso la fine del I secolo d.C. cominciò a scrivere un poema, l’Achilleide, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto raccontare la vita di Achille – e che invece rimase interrotto dopo il secondo libro per la morte prematura dell’autore.
Ed è proprio Achille il vero protagonista dell’Iliade, il poema nel quale Ulisse fa la sua prima apparizione nella letteratura greca: l’ira funesta che Achille prova per aver dovuto cedere ad Agamennone la sua amata schiava Briseide lo spinge ad abbandonare la lotta, ritirandosi nella sua tenda insieme ai suoi soldati, i Mirmidoni, e lasciando nei guai gli altri Greci, che subiscono gravi perdite da parte dei Troiani, guidati da Ettore, il coraggioso figlio di Priamo. Spinto a tornare a combattere per vendicare la morte del suo amico Patroclo, che era stato ucciso da Ettore con l’aiuto del dio Apollo, Achille affronta in duello Ettore, uccidendolo.
Questa, in estrema sintesi, è la trama dell’Iliade. Ma se Achille vi ricopre senz’altro il ruolo del protagonista, l’importanza che riveste Ulisse nel poema è ugualmente degna di nota. L’eroe fa la sua comparsa già nel primo libro, quando Agamennone gli affida il delicato compito di restituire la prigioniera di guerra Criseide a suo padre Crise, il sacerdote di Apollo. Qui l’eroe viene definito per la prima volta polymetis, un aggettivo ricorrente che sottolinea la sua metis (“saggezza”, “prudenza”, “astuzia”), una dote che egli possedeva in così gran quantità (poly) da permettergli di essere addirittura accostato a Zeus, il re degli dèi, come risulta da un’altra espressione formulare che ritorna spesso nei poemi omerici (Dii metin atalantos, “simile a Zeus in saggezza”). La posizione di prestigio che Ulisse ricopriva all’interno dell’assemblea dei comandanti dell’esercito greco viene mostrata in modo evidente già nel secondo libro dell’Iliade.
Le peripezie dell’eroe di Itaca sono raccontate nei dettagli dall’Odissea, il secondo dei poemi attribuiti all’autore più antico della letteratura greca, il poeta Omero; ma Odisseo ha un ruolo tutt’altro che secondario anche nel primo di questi poemi, l’Iliade, che narra una parte della guerra che Greci e Troiani combattono sotto le mura della città governata dal vecchio Priamo.
Quando Agamennone, spaventato da un incubo che gli è stato mandato da Zeus, ordina all’esercito di prepararsi a ripartire per la Grecia, è proprio l’intervento di Odisseo a fermare i soldati, salvando così la spedizione: su consiglio di Atena, la dea della sapienza, sua protettrice, l’eroe affronta personalmente, uno per uno, i capi e i soldati, convincendoli «con le sue parole gentili» a restare; con il lungo discorso pronunciato in assemblea, che si conclude tra l’acclamazione generale, li persuade definitivamente a non arrendersi alle difficoltà che stanno provando dopo nove lunghi anni di guerra. In questo episodio Ulisse è costretto suo malgrado a confrontarsi con un personaggio che introduce un elemento che potremmo definire comico, pur all’interno di un contesto altamente drammatico.
L’unica figura che si rifiuta di accettare disciplinatamente i suoi consigli è Tersite, un semplice soldato che, invece di tacere, continua a discutere gli ordini dei capi: definito l’uomo più brutto tra quelli giunti a Troia, con le gambe storte, le spalle ricurve e la testa a pera, Tersite ora inizia a prendersela perfino con Agamennone, ma viene zittito da Odisseo, che non si limita a rimproverarlo per aver parlato a sproposito, ma lo colpisce con lo scettro con tale forza da farlo piangere, suscitando il riso dei suoi compagni (che non lo amavano affatto, perché era un chiacchierone arrogante).
Non può esserci confronto – questo il succo della vicenda – tra l’eloquenza di Tersite (che Omero prende in giro anche per l’inefficacia dei suoi discorsi) e quella di Ulisse, che viene invece lodata anche altrove nel poema. Il suo contributo personale alla spedizione, del resto, non è soltanto militare: Ulisse partecipa alla guerra con dodici navi «dipinte di rosso», si batte con successo contro i nemici uccidendone molti (rischiando anche la vita, come si legge nell’undicesimo libro, quando viene circondato dai Troiani e ferito nel fianco dalla lancia di Soco), compie una pericolosa spedizione notturna nell’accampamento troiano insieme al fedele compagno Diomede, uccidendo la spia Dolone e rubando i cavalli bianchi che appartenevano a Reso, re dei Traci (un’impresa narrata nel decimo canto dell’Iliade, la cosiddetta “Doloneide”), ma il suo intervento viene richiesto soprattutto quando c’è bisogno del fascino delle sue parole, che il principe troiano Antenore, pur essendo un suo nemico, elogia definendole «dense come fiocchi di neve d’inverno». (Iliade, III, 222).
È proprio per questo motivo che Ulisse viene scelto, nel nono libro, per cercare di convincere Achille a tornare in battaglia, così da aiutare i Greci, che senza di lui non riuscivano ad avere la meglio sui Troiani. Se il suo lungo discorso (Iliade, IX, 225-306) non ottiene il risultato sperato, la colpa non è certo dell’eloquenza di Odisseo, ma dell’ira di Achille nei confronti di Agamennone, che non è ancora sbollita.

Protagonista dell’Odissea

Nell’Odissea, il poema che prende il suo nome, l’eroe diventa il protagonista: come si legge nel proemio, Omero chiede a Calliope, la Musa della poesia epica, di cantargli le avventure dell’eroe che, dopo aver distrutto Troia, aveva compiuto un lungo viaggio prima di fare ritorno nella sua patria – un viaggio nel quale aveva visto molte città, conosciuto molti uomini e sofferto molti dolori nell’animo, sul mare. La parola chiave di questo proemio è l’aggettivo polytropos, che nel primo verso il poeta attribuisce al protagonista. Il suo significato preciso era stato oggetto di discussione fin dall’antichità: voleva dire, metaforicamente, “versatile”, “ingegnoso”, “ricco d’astuzie”, “capace di escogitare molteplici espedienti” (nella prima, storica traduzione italiana, pubblicata nel 1822, Ippolito Pindemonte lo traduce «dal multiforme ingegno»), oppure, più semplicemente, aveva il significato concreto di “colui che ha molto viaggiato”?
Il riferimento ai viaggi dell’eroe (che costituiscono uno degli elementi del poema che hanno contribuito a rendere particolarmente affascinante la figura di Odisseo) potrebbe essere giustificato dalla presenza, all’inizio del verso seguente, del verbo plazein, che significa “errare”, “vagare”; la questione viene tuttavia risolta in modo diverso in un passo dell’Ippia minore, un dialogo filosofico scritto nel IV secolo nel quale Platone mette a confronto Socrate con il sofista Ippia, un uomo dai molteplici interessi. A Socrate, che gli chiede se preferisce Ulisse ad Achille, Ippia risponde che se Omero ha rappresentato quest’ultimo come l’uomo più coraggioso, Odisseo è stato raffigurato come polytropotaton (il superlativo di polytropos). Fingendo, con la sua proverbiale ironia, di non aver capito quello che Ippia gli ha voluto dire usando proprio quell’aggettivo, Socrate gli chiede di essere più preciso. Il sofista risponde citando il passo del nono libro dell’Iliade nel quale Achille si era rifiutato di accogliere la richiesta avanzata da Odisseo (che, come abbiamo visto, lo aveva supplicato invano di tornare a combattere), definendolo, tra l’altro, polymechanos (cioè “uomo dai molti accorgimenti e dalle molte macchinazioni”): dalla lettura del passo, sostiene Ippia, si dedurrebbe senza difficoltà che Omero ha raffigurato Achille come un uomo “semplice” e “sincero”, mentre Odisseo è stato presentato come un uomo polytropos e “bugiardo”. Quando Socrate ribadisce che, secondo l’interpretazione di Ippia, polytropos è in buona sostanza un sinonimo di “bugiardo”, il sofista non può che confermare.
Costruito secondo una struttura sorprendentemente moderna, il poema prosegue, subito dopo il proemio, con l’immagine dell’eroe fermo nell’isola di Ogigia, ospite della bellissima ninfa Calipso, che vorrebbe che Odisseo rimanesse per sempre con lei. Ma Omero sembra disinteressarsi della sua sorte, perché a questo punto il protagonista scompare: i primi quattro libri del poema sono dedicati infatti al figlio Telemaco, che, su consiglio della dea Atena, compie un lungo viaggio alla ricerca del padre, fermandosi nelle città di Pilo (dove regnava il vecchio e saggio Nestore) e di Sparta (retta da Menelao), mentre nella reggia di Itaca spadroneggiano i Proci, i pretendenti alla mano di Penelope, la quale, non avendo più notizie di suo marito da molti anni, dopo aver tentato di rimandare la propria decisione con tutti i mezzi (compreso il pretesto della famosa tela, che la regina tesseva di giorno e disfaceva di notte), sembra ormai vicina a cedere al corteggiamento di uno di loro. Solo a partire dal quinto libro i lettori dell’Odissea incontrano finalmente il protagonista del poema: è sempre grazie al provvidenziale intervento di Atena che Zeus decide di mandare Hermes, il suo messaggero, da Calipso per convincere la ninfa a lasciar andare Odisseo.
A malincuore, Calipso obbedisce, aiutando l’eroe a costruire una zattera sulla quale egli lascia Ogigia partendo di nuovo alla volta di Itaca. Ma, se è vero che molti degli dèi sono dalla sua parte, sull’Olimpo Ulisse possiede anche molti nemici: uno di questi è Poseidone, il dio del mare (e vedremo tra poco perché). Scatenando una tempesta, il dio fa affondare la sua imbarcazione, ma l’eroe si salva grazie all’aiuto di Ino, una divinità marina, che lo fa arrivare sano e salvo sull’isola di Scheria. A Scheria regna Alcinoo, il signore dei Feaci; da lui lo porta sua figlia Nausicaa, che si è imbattuta nel naufrago mentre era andata in riva al mare a giocare a palla con le sue amiche. Ospite del re, Ulisse assiste al ricco banchetto che Alcinoo ha offerto in suo onore. E, quando il cantore cieco Demodoco comincia, su suggerimento dello stesso Odisseo, a raccontare ai Feaci la storia della guerra di Troia, l’eroe piange. Nel sentire il racconto della caduta della città, provocata dall’inganno del cavallo di legno, Odisseo piange «come piange una donna, piegata sul corpo del suo sposo, che è caduto davanti alla città, davanti ai suoi concittadini, per proteggere i suoi figli e la sua patria dal giorno fatale» (Odissea, VIII, 523-525). Alcinoo se ne accorge e, dopo aver detto a Demodoco di tacere, chiede al suo ospite di dire il suo nome. E l’eroe acconsente: «Sono Odisseo, figlio di Laerte, noto agli uomini per tutti i miei inganni, tanto che la mia fama arriva fino al cielo. La mia casa è Itaca, piena di sole; sull’isola c’è una montagna, il Nerito, che si vede anche da lontano, coperto di foglie. Intorno ci sono molte isole, tutte vicine tra loro: Dulichia, Same e la boscosa Zacinto. Itaca giace sul mare in basso, verso occidente, mentre le altre sono più lontane, verso oriente, il sole. Se l’isola è aspra e rocciosa, coraggiosi sono i suoi uomini: non c’è nulla per me che sia più dolce a vedersi della mia terra» (Odissea, IX, 19-28).
Comincia qui la sezione più famosa del poema: nei quattro libri che vanno dal nono al dodicesimo, Odisseo racconta le sue peripezie, a cominciare dallo scontro con i Ciconi, una bellicosa popolazione della Tracia, e dall’incontro con i Lotofagi, che sono gente pacifica ma che si ciba del loto, un frutto che cancella la memoria facendo scordare i...

Table of contents

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione alla collana di Giulio Guidorizzi
  6. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  7. Il racconto del mito di Simone Beta
  8. Genealogia
  9. Variazioni sul mito di Luigi Marfé
  10. Antologia
  11. Per saperne di più
  12. Piano dell’opera
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APA 6 Citation

Beta, S., & Marfé, L. (2021). Ulisse ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3165639/ulisse-il-viaggio-della-ragione-pdf (Original work published 2021)

Chicago Citation

Beta, Simone, and Luigi Marfé. (2021) 2021. Ulisse. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3165639/ulisse-il-viaggio-della-ragione-pdf.

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Beta, S. and Marfé, L. (2021) Ulisse. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3165639/ulisse-il-viaggio-della-ragione-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Beta, Simone, and Luigi Marfé. Ulisse. [edition unavailable]. Pelago, 2021. Web. 15 Oct. 2022.