Il battello del delirio
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Il battello del delirio

George R.R. Martin

  1. 408 pages
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Il battello del delirio

George R.R. Martin

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St Louis, 1857. Dopo aver perso la sua flotta commerciale e ormai sull'orlo della bancarotta, il burbero capitano Abner Marsh accetta l'offerta di uno straniero bizzarro, Joshua York, che non solo si offre di rilevare metà delle quote della compagnia, ma anticipa anche il denaro per costruire un nuovo battello, il più lussuoso e veloce mai visto lungo il Mississippi, battezzato Fevre Dream. Poche le condizioni poste: non disturbare mai York durante il giorno ed eseguire sempre alla lettera i suoi ordini, per quanto insoliti, senza fare domande.

Tutto sembra andare per il meglio. Ma, a mano a mano che il battello discende il tortuoso corso del fiume, Marsh si insospettisce sempre di più. Perché York si mostra soltanto di notte? E cos'è quel vino nerastro dall'aspetto disgustoso con cui lui e i suoi amici si dissetano ogni sera?

Marsh decide di andare in fondo al mistero di Joshua York; ancora non sa di essersi unito a una spedizione più sinistra del suo peggiore incubo, e del più irrealizzabile sogno dell'umanità.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2017
ISBN
9788852082979

1

St Louis. Aprile 1857

Abner Marsh picchiò con decisione la punta del bastone in noce americano sul banco dell’albergo per attirare l’attenzione del portiere. «Sono venuto a incontrare un uomo di nome York. Josh York, credo si chiami. È qui?»
Il portiere era un uomo anziano con gli occhiali. Il rumore lo fece sobbalzare. Si girò, guardò Marsh e sorrise. «Che mi venga un colpo, il capitano Marsh!» esclamò in tono gioviale. «Saranno sei mesi che non si fa vedere, capitano. Ho sentito parlare della sua disavventura… terribile, davvero terribile. Sono qui dal ’36 e non avevo mai visto blocchi di ghiaccio così giganteschi.»
«Non sono affari tuoi» disse Abner Marsh infastidito. Si era aspettato un commento di quel tenore. Il Planters’ House era un albergo molto frequentato dai battellieri. Lo stesso Marsh vi aveva cenato spesso prima di quell’inverno disgraziato. Ma dal giorno dell’incidente se n’era tenuto alla larga, e non solo per i prezzi. Per quanto gradisse la cucina del locale, non aveva alcun desiderio di stare in quella compagnia: timonieri, capitani e primi ufficiali, tutte persone che lavoravano nel fiume, vecchi amici e vecchi rivali, e tutti al corrente della sua disavventura. Abner Marsh non voleva la pietà di nessuno. «Dimmi solo dov’è la stanza di York» ordinò al portiere.
L’uomo scosse la testa, nervoso. «Il signor York non è in camera, capitano. Può trovarlo in sala da pranzo, sta cenando.»
«Adesso? Così tardi?» Marsh lanciò un’occhiata allo sfarzoso orologio dell’albergo, poi si slacciò i bottoni d’ottone del cappotto e tirò fuori il suo orologio da taschino d’oro. «Mezzanotte e dieci» disse incredulo. «E mi vorresti dire che sta cenando?»
«Sissignore, proprio così. Ha degli orari strani, il signor York, e non è il tipo a cui si possa dire no, capitano.»
Abner Marsh grugnì, ripose l’orologio e gli voltò le spalle senza dire una parola, per attraversare il lussuoso atrio con le sue lunghe, pesanti falcate. Era un gran pezzo d’uomo, e tutto fuorché paziente: non era abituato a parlare d’affari a mezzanotte passata. Fece roteare il suo bastone da passeggio, come se fosse stato l’uomo di un tempo, e la sventura non l’avesse mai sfiorato.
La sala da pranzo era sfarzosa e magnificente quasi come il salone d’onore di un maestoso piroscafo, con lampadari di vetro intagliato, finiture di ottone lucidato e tavole coperte di raffinate tovaglie, cristalli e porcellane di prima scelta. Alle ore dei pasti i tavoli sarebbero stati pieni di viaggiatori e battellieri, ma adesso la sala era vuota, le luci quasi tutte spente. Forse in fondo c’era qualcosa di piacevole negli incontri notturni, pensò Marsh; almeno non avrebbe dovuto sorbirsi altre condoglianze. Vicino alla porta della cucina due camerieri neri parlavano a bassa voce. Marsh li ignorò e avanzò fino al fondo della sala, dove un elegante sconosciuto stava cenando tutto solo.
L’uomo doveva averlo sentito avvicinarsi ma non alzò gli occhi, impegnato com’era a sorbire una zuppa da un piatto di ceramica. Il taglio della lunga giacca nera faceva capire che non era uno del fiume; doveva essere della East Coast, forse addirittura un forestiero. Era imponente, si disse Marsh, anche se non quanto lui; seduto, dava l’impressione di essere alto, ma non aveva il suo girovita. Sulle prime aveva pensato che fosse anziano perché aveva i capelli bianchi. Poi, avvicinandosi, si era reso conto che non erano bianchi, ma di un biondo platino molto tenue, e di colpo il forestiero aveva assunto un aspetto quasi fanciullesco. York era rasato di fresco, non c’era traccia di baffi o basette sul suo volto allungato e gelido, e la sua pelle era candida come i capelli. Aveva mani da donna, pensò Marsh quando giunse al tavolo.
Picchiò sul tavolo la punta del bastone. La tovaglia smorzò il suono, trasformandolo in un appello delicato. «Sei tu Josh York?»
York alzò lo sguardo, incrociando il suo.
Fino alla fine dei suoi giorni Abner Marsh avrebbe ricordato quel momento, la prima volta che guardò Joshua York negli occhi. Qualsiasi pensiero avesse covato, qualsiasi piano avesse concepito, tutto fu risucchiato nel gorgo di quegli occhi. Giovane e vecchio, dandy e forestiero, tutte quelle impressioni scomparvero in un lampo, e rimase solo York, l’uomo, la sua forza, il sogno, il potere.
Gli occhi di York erano grigi, tanto scuri da spiccare in un viso così pallido. Le sue pupille erano puntini di un nero incandescente, e trafissero Marsh, penetrandogli fin dentro l’anima. Il grigio delle iridi sembrava vivo, mobile come la nebbia sul fiume in una notte buia, quando gli argini svaniscono, le luci svaniscono e al mondo non resta altro che il tuo battello, il fiume e la nebbia. In quella foschia Abner Marsh scorse qualcosa: visioni apparse all’improvviso e poi scomparse. Una fredda intelligenza faceva capolino da quelle nebbie, ma anche una bestia oscura e spaventosa, incatenata e furibonda. Derisione, solitudine e passione crudele: negli occhi di York c’era tutto questo.
Ma soprattutto in quegli occhi c’era una forza, una forza devastante, un impeto implacabile e spietato come il ghiaccio che aveva infranto i sogni di Marsh. Da qualche parte in quella nebbia Marsh sentiva il ghiaccio che si muoveva e avanzava lento, e udiva l’atroce frantumarsi delle sue navi e di tutte le sue speranze.
Ai tempi d’oro Abner Marsh aveva saputo intimidire molti uomini, e per lunghi istanti sostenne il suo sguardo, la mano stretta sul bastone con tanta forza che quasi temette di spezzarlo in due. Alla fine, tuttavia, distolse gli occhi.
L’uomo al tavolo spinse via la zuppa, indicò la sedia di fronte a sé e disse: «Ti stavo aspettando. Prego, accomodati». La sua voce era suadente, educata, tranquilla.
«Bene» disse Marsh a voce troppo bassa e si sedette davanti al forestiero. Marsh era un uomo corpulento, un metro e ottanta di altezza per centotrenta chili di peso. Aveva il volto arrossato e una folta barba nera che portava per coprire un naso piatto e rincagnato e una pelle piena di verruche, ma neanche le basette aiutavano più di tanto; era considerato l’uomo più brutto sul fiume, e lui lo sapeva bene. Nella pesante giacca blu da capitano con la doppia fila di bottoni d’ottone, la sua figura si ergeva grintosa e mastodontica. Ma gli occhi di York avevano prosciugato la sua sbruffoneria. Quell’uomo era un fanatico, decise Marsh. Aveva già visto occhi come quelli, nei pazzi e nei predicatori invasati e una volta nel viso di un uomo chiamato John Brown, durante i sanguinosi scontri del Kansas. Marsh non voleva avere niente a che fare con fanatici, predicatori, abolizionisti e proibizionisti.
Eppure, quando parlò, York non suonava affatto come un fanatico. «Mi chiamo Joshua Anton York, capitano. J.A. York in affari, per gli amici Joshua. Spero che con il tempo diventeremo sia soci in affari che amici.» Aveva un tono ponderato e cordiale.
«Questo lo vedremo» ribatté Marsh titubante. Gli occhi grigi di fronte a lui adesso sembravano distaccati e quasi ironici; qualsiasi cosa vi avesse visto dentro era sparita, e lui si sentì confuso.
«Immagino tu abbia ricevuto la mia lettera?»
«Ce l’ho proprio qui» rispose Marsh, tirando fuori dalla tasca del cappotto la busta ripiegata. Quando l’aveva ricevuta, l’offerta gli era sembrata un incredibile colpo di fortuna, la salvezza per tutto quello che temeva di avere perduto. Ora non ne era più tanto sicuro. «Vuoi entrare nel settore della navigazione, non è così?» chiese, chinandosi in avanti.
Apparve un cameriere. «Desidera cenare con il signor York, capitano?»
«Ti prego» lo invitò York.
«Direi di sì» disse Marsh. Forse York poteva batterlo alla gara degli sguardi, ma nessun uomo sul fiume poteva batterlo a tavola. «Vorrei una zuppa come quella, una dozzina di ostriche e un paio di polli arrosto con patate e compagnia bella. Fammele belle croccanti, mi raccomando. E qualcosa per annaffiare il tutto. Tu che cosa stai bevendo, York?»
«Borgogna.»
«Perfetto, portane un’altra bottiglia.»
York sembrava divertito. «Hai un appetito formidabile, capitano.»
«Questa è una città formidabile» disse Marsh lentamente «e un fiume formidabile, York. Bisogna tenersi in forze. Non siamo a New York qui, e nemmeno a Londra.»
«Me ne sono accorto.»
«Be’, me lo auguro, se vuoi buttarti nella navigazione fluviale. È la cosa più formidabile di tutte.»
«Vuoi che andiamo subito al sodo, quindi? Tu possiedi una società di trasporto. Io vorrei rilevarne il cinquanta per cento. Dal momento che sei qui, immagino che tu sia interessato alla mia offerta.»
«Sono decisamente interessato,» ammise Marsh «ma anche altrettanto sorpreso. Mi sembri un uomo intelligente. Suppongo che tu abbia raccolto informazioni sul mio conto prima di scrivere questa lettera.» La picchiettò con il dito. «Dovresti sapere che l’ultimo inverno mi ha praticamente gettato sul lastrico.»
York non disse nulla, ma qualcosa nella sua espressione spinse Marsh a continuare.
«La Fevre River Packet Company sono io» proseguì Marsh. «L’ho chiamata così in onore del posto in cui sono nato, sulle sponde del Fevre vicino a Galena, e non perché abbia lavorato sempre e solo su quel fiume, perché non è così. Avevo sei battelli, lavoravo soprattutto nell’alto Mississippi, da St Louis a St Paul, con qualche puntata nel Fevre, l’Illinois e il Missouri. Gli affari andavano a gonfie vele, compravo uno o due battelli nuovi all’anno, e stavo pensando di spostarmi dalle parti dell’Ohio, o addirittura a New Orleans. Ma lo scorso luglio sul mio Mary Clarke è scoppiata una caldaia e il battello ha preso fuoco dalle parti di Dubuque: non ne è rimasto quasi niente e cento persone sono rimaste uccise. E quest’inverno… quest’ultimo inverno è stato un disastro. Avevo quattro battelli ormeggiati qui a St Louis per l’inverno: il Nicholas Perrot, il Dunleith, il Sweet Fevre, e l’Elizabeth A., nuovo di zecca, in servizio da soli quattro mesi… e un gran bel battello, per giunta, lungo la bellezza di quasi cento metri, con dodici grosse caldaie, più veloce di qualsiasi altra imbarcazione sul fiume. Ne andavo così fiero. Mi era costato duecentomila dollari, ma valeva ogni centesimo.» Arrivò la zuppa. Marsh assaggiò una cucchiaiata e corrugò la fronte. «Scotta. Comunque, St Louis è un buon posto in cui lasciare i battelli d’inverno. Non ci sono grandi gelate, e il freddo dura poco. Ma questo inverno è stato diverso. Sissignore. Questo maledetto fiume è diventato un pezzo di ghiaccio, stretto così.» Marsh stese una manona rubizza sul tavolo, il palmo verso l’alto, e pian piano chiuse le dita in un pugno. «Immagina che abbia un uovo in mano e ti farai un’idea, York. Il ghiaccio può stritolare un battello più di quanto io possa fare con un uovo. E quando il ghiaccio si scioglie è peggio ancora: blocchi giganteschi scivolano sul fiume, sfondando moli, argini, barche, tutto quello che trovano sulla loro strada. Alla fine dell’inverno avevo perso i miei battelli, tutti e quattro. Il ghiaccio me li ha portati via.»
«Non eri assicurato?»
Marsh si dedicò alla zuppa, con sonori risucchi. Tra un boccone e l’altro scosse la testa. «Non sono un giocatore, York. Non ho mai stipulato un’assicurazione in vita mia. È come giocare d’azzardo, solo che stai scommettendo contro te stesso. Tutti i soldi che ho guadagnato li ho sempre investiti nelle mie navi.»
York annuì. «Mi sembra di capire che possiedi ancora un battello.»
«Vero» confermò Marsh. Finì la zuppa e fece segno di portare la prossima portata. «L’Eli Reynolds, un piccolo battello a ruota posteriore da centocinquanta tonnellate. L’ho usato sull’Illinois perché non ha una grande trazione e l’avevo ormeggiato a Peoria, così si è risparmiato la gelata. È la mia unica risorsa, tutto quello che mi resta. Il problema, York, è che non vale granché. Mi è costato appena venticinquemila dollari nuovo, ed era il ’50.»
«Sette anni. Non è poi così vecchio.»
Marsh scosse la testa. «Sette anni sono un’eternità per un battello a vapore. Di solito arrivano appena a quattro o cinque. Il fiume se li mangia. L’Eli Reynolds era costruito meglio della media, ma ha lo stesso il tempo contato.» Marsh attaccò le ostriche, staccandole dalla conchiglia e inghiottendole intere, accompagnate da un’abbondante sorsata di vino. «Quindi non capisco, York» continuò dopo aver spazzato via una mezza dozzina di molluschi. «Vuoi comprare metà della mia impresa, che è composta da un’unica, piccola imbarcazione. Nella tua lettera hai avanzato un’offerta, un’offerta davvero troppo alta. Forse la Fevre River Packet valeva tanto quando le navi erano sei. Adesso no.» Mandò giù un’altra ostrica. «Non ti basteranno dieci anni per recuperare l’investimento, non con il Reynolds. Non riesce a trasportare un grande carico e nemmeno tanti passeggeri.» Marsh si asciugò le labbra con il tovagliolo e guardò lo sconosciuto al di là del tavolo. La cena l’aveva rimesso in sesto, e adesso si sentiva di nuovo al comando della situazione come un tempo. Lo sguardo di York era penetrante, questo non si poteva negarlo, ma dentro non c’era niente di cui aver paura.
«Tu hai bisogno dei miei soldi. Perché mi stai dicendo queste cose? Non temi che possa cercare un altro socio?»
«Io non lavoro così. Sono trent’anni che vado su e giù per il fiume, York. Sono arrivato in zattera a New Orleans quando ero appena un ragazzo, e ho lavorato su chiatte e barche a chiglia prima di passare ai piroscafi. Sono stato timoniere, primo ufficiale e apprendista timoniere, persino mozzo. Ho fatto tutto quello che si può fare nel settore, ma non sono mai stato un imbroglione.»
«Un uomo onesto» disse York con una traccia di ambiguità nella voce, tanto che Marsh ebbe il sospetto che lo prendesse in giro. «Sono lieto che tu abbia voluto illustrarmi le condizioni della tua società. Sapevo già tutto, naturalmente. La mia offerta rimane valida.»
«Perché?» chiese Marsh burbero. «Solo uno stupido getta via i soldi. Tu non mi sembri uno stupido.»
Il piatto arrivò prima che York avesse il tempo di rispondere. I polli di Marsh erano belli croccanti, proprio come piacevano a lui. Tagliò una coscia e la divorò con gusto. York ricevette una grossa fetta di roast beef al sangue, immersa nei suoi succhi. Marsh lo guardò mangiarla con destrezza. Il coltello di York affondava nella carne come se fosse burro, senza mai fermarsi per segare o pugnalare un pezzo difficile, come a Marsh capitava spesso. Maneggiava la forchetta come un gentiluomo, scambiando le mani ogni volta che posava il coltello. Forza e ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il battello del delirio
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. Epilogo
  39. Copyright
Citation styles for Il battello del delirio

APA 6 Citation

Martin, G. (2017). Il battello del delirio ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3296217 (Original work published 2017)

Chicago Citation

Martin, George. (2017) 2017. Il Battello Del Delirio. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3296217.

Harvard Citation

Martin, G. (2017) Il battello del delirio. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3296217 (Accessed: 25 June 2024).

MLA 7 Citation

Martin, George. Il Battello Del Delirio. [edition unavailable]. Mondadori, 2017. Web. 25 June 2024.