La spia che venne dal freddo
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La spia che venne dal freddo

John le Carré, Attilio Veraldi

  1. 86 pages
  2. Italian
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La spia che venne dal freddo

John le Carré, Attilio Veraldi

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La storia dell'ultima, pericolosa missione di Alec Leamas, un agente segreto, stanco e disilluso, che vuole disperatamente concludere la sua carriera di spia. Tutti i suoi migliori agenti sono stati scoperti e uccisi dal nemico e presto potrebbe venire anche il suo turno. Esiste un solo modo per uscire definitivamente dal giro: partecipare alla pericolosissima missione che gli propone Smiley.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2015
ISBN
9788852066443
1

Checkpoint

L’americano gli porse un’altra tazza di caffè e disse: «Perché non rientra e va a dormire? Se si fa vivo la chiamiamo».
Leamas non rispose. Dalla finestra della baracca del checkpoint continuò a guardare la strada deserta.
«Non può aspettare in eterno, signore. Probabilmente verrà in un’altra occasione. Possiamo fare in modo che la Polizei si metta in contatto con l’Agenzia, e in venti minuti lei può essere qui di nuovo.»
«No,» disse lui alla fine «ormai è quasi buio.»
«Ma non può aspettare qui in eterno, è in ritardo di nove ore sul previsto.»
«Se lei vuole andare vada.» Poi aggiunse: «È stato molto gentile. Dirò a Kramer che lei è stato davvero molto gentile».
«E lei fino a quando aspetterà?»
«Fino a che viene.»
Andò all’altra finestra, quella d’osservazione, e rimase lì tra i due poliziotti immobili. I loro binocoli erano puntati sul checkpoint orientale.
«Aspetta il buio. Lo so.»
«Stamattina lei ha detto che invece sarebbe passato con gli operai.»
Leamas si girò verso l’americano.
«Gli agenti non sono aeroplani. Non hanno orari. È bruciato, in fuga, impaurito. Ora, in questo stesso momento, Mundt gli sta addosso. Ha una sola probabilità. Lasciamogli scegliere il momento.»
Il giovanotto esitò. Voleva andarsene e non ne aveva il coraggio.
Nell’interno della baracca risuonò un campanello. Di colpo si tesero, nell’attesa. Uno dei poliziotti disse, in tedesco: «Opel Rekord nera. Targa federale».
«Non può vedere tanto lontano con questa luce, tira a indovinare» bisbigliò l’americano. Poi aggiunse: «Come ha saputo di Mundt?».
«Zitto» ribatté lui, alla finestra.
Uno dei poliziotti uscì dalla baracca e s’avvicinò al muretto di sacchi di sabbia a mezzo metro dalla linea di demarcazione bianca che tagliava la strada come la terra di un campo da tennis. L’altro attese che il compagno s’accucciasse dietro il telescopio del muretto, dopodiché mise giù il binocolo, staccò l’elmetto nero dal gancio vicino alla porta e lo calzò con cura. In alto, sopra il checkpoint, le lampade ad arco s’accesero all’improvviso illuminando come un palcoscenico la strada lì davanti.
Il poliziotto iniziò la sua cronaca. Lui, Leamas, la conosceva a memoria.
«La macchina si ferma al primo controllo. Un solo passeggero, una donna. La scortano alla baracca dei Vopo per il controllo documenti.» Attesero in silenzio.
«Cosa dice?» chiese l’americano.
Lui non rispose. Prese un binocolo di riserva e lo puntò sul checkpoint della Germania Orientale.
«Controllo documenti completato. Ammessa al secondo controllo.»
«Mr Leamas, è il suo uomo?» incalzò l’americano. «Dovrei chiamare l’Agenzia.»
«Aspetti.»
«Dov’è la macchina ora? Che fanno?»
«Controllo valuta. Dogana» sbottò Leamas.
Teneva d’occhio la macchina. C’erano due Vopo dal lato del conducente, uno parlava, l’altro stava discosto, in attesa. Un terzo girava intorno alla vettura. Si fermò davanti al portabagagli, poi tornò indietro dal conducente. Volle la chiave. Tornò al portabagagli e l’aprì. Guardò dentro, lo chiuse, restituì la chiave e s’allontanò di una trentina di metri fin dove, a metà strada tra i due posti di controllo, se ne stava impalata una solitaria sentinella tedesco orientale, una sagoma tozza in stivali e calzoni rimboccati. I due stettero là a parlare, intontiti dal bagliore delle lampade ad arco.
Con gesto meccanico fecero segno alla macchina di passare, poi, quando fu giunta alla loro altezza, al centro della strada, la fermarono di nuovo. Vi girarono intorno, si scostarono e ripresero a parlare; alla fine, quasi controvoglia, la lasciarono proseguire oltre la linea fino al Settore Occidentale.
«È un uomo quello che lei aspetta, Mr Leamas?» chiese l’americano.
«Sì, un uomo.»
Tiratosi su il bavero della giacca, Leamas uscì fuori, nel gelido vento d’ottobre. Si ricordò allora delle facce. Una cosa, quel gruppo di facce perplesse, che nell’interno della baracca dimenticavi. La gente cambia ma le espressioni rimangono le stesse. Come la folla impotente radunata da un incidente stradale: nessuno sa com’è successo e se bisogna o no spostare il corpo. Fumo, o polvere, volteggiava nel raggio delle lampade ad arco, un drappo che s’agitava di continuo tra un margine di luce e l’altro.
S’avvicinò alla macchina e chiese alla donna: «Dov’è?».
«Sono venuti a prenderlo ed è scappato. Ha preso la bicicletta. Non potevano sapere di me.»
«Dov’è andato?»
«Avevamo una stanza dalle parti della Porta di Brandeburgo, sopra un bar. Vi teneva della roba, soldi e documenti. Dev’essere andato là, penso. Dopo attraverserà.»
«Stanotte?»
«Così ha detto. Gli altri sono stati presi tutti: Paul, Viereck, Ländser, Salomon. Non gli rimane molto tempo.»
Per un po’ la guardò in silenzio.
«Anche Ländser?»
«Ieri notte.»
Accanto c’era un poliziotto. Disse:
«Dovete spostarvi da qui. È proibito ostruire il punto di attraversamento.»
Leamas si girò a metà. «Va’ all’inferno» sbottò.
Il tedesco s’irrigidì, ma la donna intervenne: «Salga. Ce ne andiamo all’angolo».
Salì e si spostarono lentamente in fondo alla strada, fino all’angolo di una laterale.
«Non sapevo che avesse una macchina.»
«È di mio marito» rispose la donna, distratta. «Karl non le ha mai detto che ero sposata, vero?» Lui non rispose. «Mio marito e io lavoriamo in una ditta di apparecchiature ottiche. Ci lasciano passare perché facciamo affari. Karl le ha detto solo il mio nome da nubile. Non voleva che fossi coinvolta con... lei.»
Lui tirò fuori una chiave dalla tasca.
«Avrà bisogno di un posto dove andare.» Lo disse senza alcuna inflessione nella voce. «C’è un appartamento sulla Albrecht Dürer Strasse, vicino al museo. Numero 28 A. Troverà tutto quello che le occorre. Quando lui arriva le telefono.»
«Resto qui con lei.»
«Io non resto qui. Vada all’appartamento. La chiamerò. Ormai non ha senso aspettare qui.»
«Ma è da qui che lui passerà.»
La guardò sorpreso.
«Glielo ha detto lui?»
«Sì. Conosce uno dei Vopo di qui, il figlio del suo padrone di casa. Può essere un aiuto. Perciò ha scelto questo checkpoint.»
«E gliel’ha detto?»
«Si fida di me. Mi ha detto tutto.»
«Cristo.»
Le diede la chiave e se ne tornò nella baracca, si tolse dal freddo. Quando entrò i due poliziotti stavano dicendo qualcosa a bassa voce, il più grosso dei due gli voltò ostentatamente le spalle.
«Mi dispiace» disse lui. «Mi dispiace di averla aggredita là fuori.» Aprì una valigetta malconcia e vi frugò dentro finché trovò quel che cercava, una fiaschetta di whisky. Il poliziotto più anziano accettò con un cenno del capo, riempì a metà due tazze e v’aggiunse del caffè nero.
«Dov’è andato l’americano?»
«Chi?»
«Il giovanotto della CIA. Quello che era qui con me.»
«È ora della nanna» disse il poliziotto più anziano, e tutti risero.
Lui mise giù la tazza e disse:
«Che istruzioni avete? Potete sparare per proteggere chi passa da qui? Uno che scappa?»
«Se i Vopo sparano nel nostro settore possiamo solo rispondere al fuoco.»
«Il che significa che non potete sparare finché quello non ha passato il confine?»
Il poliziotto più anziano rispose: «Non possiamo offrire nessun fuoco di copertura, Mr...».
«Thomas» disse Leamas. «Thomas.» Si strinsero la mano e, nel farlo, i due poliziotti pronunciarono il proprio nome.
«Non possiamo offrire nessun fuoco di copertura. Proprio così. Se lo facessimo, dicono, scoppierebbe la guerra.»
«Sciocchezze» disse il poliziotto più giovane, imbaldanzito dal whisky. «Se qui non ci fossero gli Alleati il Muro sarebbe scomparso da un pezzo.»
«E anche Berlino» mormorò il più anziano.
«Un mio uomo deve passare questa notte» disse lui all’improvviso.
«Da qui? Da questo checkpoint?»
«È molto importante che ce la faccia. Gli uomini di Mundt lo cercano.»
«Ci sono ancora dei punti dove si può scavalcare» disse il poliziotto più giovane.
«Non è il tipo. Tenterà di passare bluffando. Ha dei documenti, se sono ancora buoni. E una bicicletta.»
Nella baracca c’era una sola lampada, da tavolo col paralume verde, ma, come una luna artificiale, il bagliore delle lampade ad arco l’invadeva tutta. Col buio era calato anche il silenzio. Parlavano come se temessero di essere sentiti. Lui, Leamas, s’avvicinò alla finestra e rimase lì in attesa. Di fronte a lui c’erano la strada e, sui due lati, il Muro, un brutto affare di blocchi di cemento e filo spinato, illuminato da una squallida luce gialla; una scena da campo di concentramento, insomma. A est e ovest del Muro si stendeva la parte non ricostruita di Berlino, un tracciato in doppia dimensione, una terra di nessuno.
Quella maledetta donna, pensò, e quell’idiota di Karl che gli aveva mentito al riguardo. Mentito tacendo, come sempre tutti loro, gli agenti sparsi nel mondo intero. Gli insegni a ingannare, a cancellare le proprie tracce, e loro ingannano anche te. L’aveva fatta vedere una sola volta, dopo quel pranzo in Schürzstrasse l’anno prima. Karl aveva appena fatto il suo gran colpo e Control aveva voluto incontrarlo. Si faceva sempre avanti, Control, in caso di successo. E così avevano pranzato insieme: lui, Control e Karl. A Karl piacevano quelle cose. Si era presentato con un’aria da ragazzino al catechismo, tutto a modo e sorridente, ossequioso, col cappello in mano. Control gli aveva stretto la mano per cinque minuti dicendo: «Voglio che sappia che siamo soddisfatti, Karl, davvero molto soddisfatti». Lui, Leamas, era stato a guardare pensando: “Questo ci costerà un paio di centinaia in più all’anno”. A pranzo finito, Control aveva stretto di nuovo calorosamente la mano con grandi cenni del capo, come a dire che lui ora andava a rischiare la propria vita altrove, e era montato nella sua macchina con autista. Alla fine Karl era scoppiato a ridere e anche lui aveva riso, e avevano finito lo champagne, sempre ridendo di Control. Poi, dietro insistenza di Karl, erano andati all’“Alter Fass”, dove li stava aspettando Elvira, una bionda quarantenne, dura come l’acciaio.
«Questo è ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cinquant’anni dopo. di John le Carré
  4. LA SPIA CHE VENNE DAL FREDDO
  5. 1. Checkpoint
  6. 2. Il Circus
  7. 3. Declino
  8. 4. Liz
  9. 5. Credito
  10. 6. Contatto
  11. 7. Kiever
  12. 8. Le Mirage
  13. 9. Il secondo giorno
  14. 10. Il terzo giorno
  15. 11. Gli amici di Alec
  16. 12. Est
  17. 13. Spilli o fermagli
  18. 14. Lettera a un cliente
  19. 15. Invito al ballo
  20. 16. Arresto
  21. 17. Mundt
  22. 18. Fiedler
  23. 19. Riunione di sezione
  24. 20. Tribunale
  25. 21. Il teste
  26. 22. Il presidente
  27. 23. Confessione
  28. 24. Il commissario
  29. 25. Il muro
  30. 26. Rientro dal freddo
  31. Dossier George Smiley. a cura di Paolo Bertinetti
  32. Copyright
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APA 6 Citation

Carré, J., & Veraldi, A. (2015). La spia che venne dal freddo ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3296944 (Original work published 2015)

Chicago Citation

Carré, John, and Attilio Veraldi. (2015) 2015. La Spia Che Venne Dal Freddo. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3296944.

Harvard Citation

Carré, J. and Veraldi, A. (2015) La spia che venne dal freddo. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3296944 (Accessed: 25 June 2024).

MLA 7 Citation

Carré, John, and Attilio Veraldi. La Spia Che Venne Dal Freddo. [edition unavailable]. Mondadori, 2015. Web. 25 June 2024.