La Divina Commedia. Inferno
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La Divina Commedia. Inferno

Dante Alighieri, Anna Maria Chiavacci Leonardi

  1. 1,248 pages
  2. Italian
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La Divina Commedia. Inferno

Dante Alighieri, Anna Maria Chiavacci Leonardi

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La "Commedia" curata da Anna Maria Chiavacci Leonardi per i Meridiani Mondadori si caratterizza per l'estrema leggibilità del commento; la curatrice colloca il dettato dantesco nel contesto culturale e storico in cui nacque, rifacendosi soprattutto agli esegeti antichi, contemporanei o di poco successivi all'autore. Ogni canto è provvisto di un'introduzione specifica, una sorta di affascinante invito alla lettura, mentre i nodi cruciali dell'esegesi vengono discussi in un'apposita sezione alla fine del canto. Dal punto di vista tecnico, nell'ebook i versi sono collegati alle note, poste in fondo al volume. È così possibile leggere il testo tutto di fila, senza che la successione narrativa delle terzine sia costantemente interrotta dalla presenza delle note, come accade nella versione cartacea. Iniziato con ogni probabilità nel 1306-07, l'"Inferno" è la prima delle tre cantiche che compongono la "Commedia" dantesca. In questi trentaquattro canti il poeta racconta l'inizio del suo viaggio ultraterreno, a partire dallo smarrimento nella "selva oscura", dove incontra il poeta latino Virgilio che sarà sua guida, giù giù per i diversi gironi, fino all'orrenda visione di Lucifero e quindi alla faticosa risalita "a riveder le stelle". Un itinerario nell'animo umano lungo il quale Dante incontra decine di indimenticabili personaggi (Paolo e Francesca, Farinata, il conte Ugolino, Ulisse...), alle cui tristi vicende egli sa guardare con fermo giudizio ma anche con una suprema "pietas" che è forse il maggior segno del suo profondo immedesimarsi nell'umano. Ed è proprio da questo atteggiamento di estrema modernità che deriva l'universalità dell'"Inferno" dantesco.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2014
ISBN
9788852047077
Subtopic
Poesia

Note al canto I

1. Nel mezzo del cammin…: giunto alla metà del cammino della nostra vita umana. L’inizio del poema, in forma semplice e piana, è una indicazione di tempo. La visione dell’aldilà si presenta come un fatto storicamente datato che si svolge nel tempo. Dante indica infatti qui una data precisa, cioè i suoi trentacinque anni, considerati allora, «ne li perfettamente naturati», il punto medio della durata della vita (Conv. IV, XXIII 6-10); la Scrittura stessa – in accordo del resto alle teorie aristoteliche riprese da Alberto Magno e Tommaso – era all’origine di tale opinione («Dies annorum nostrorum… septuaginta anni» – Ps. 89, 10) e l’aggettivo nostra sembra discendere dal salmo al verso di Dante, dando a quel linguaggio dimesso e quotidiano una risonanza universale ed epica. L’idea della vita come cammino (che ha quindi un suo fine) riempie questo primo verso. È l’idea di partenza del poema. Essa è scritturale (2 Cor. 5, 6) e Tommaso la precisa nel suo commento: «Homo, in statu vitae istius constitutus, est quasi in quadam via, qua debet tendere ad patriam». Dante la riprende e la svolge in un passo del Convivio, dove si ritrova quasi una parte del primo verso del poema: «così l’anima nostra, incontanente che nel novo e non mai fatto cammino di questa vita entra…»; è questo il cammino verso il bene, che l’uomo «perde per errore come le strade de la terra» (Conv. IV, XII 15-8), proprio come è accaduto all’uomo della prima terzina del poema. La data di questo viaggio dell’anima è tuttavia storica, come dichiarano più luoghi lungo le cantiche che fissano la visione al 1300 (Dante era nato, come si sa, nel 1265) e precisamente al Venerdì santo di quell’anno (vedi sotto, nota integrativa). È questo del resto l’anno del grande giubileo indetto da Bonifacio VIII, certo non a caso scelto per il viaggio di conversione e salvezza. Che le prime parole del poema indichino dunque un tempo storico, appare indubbio. Ma tale tempo storico è fin dall’inizio proiettato sullo sfondo dell’eternità dal preciso ricordo biblico presente in questo primo verso: «Ego dixi: in dimidio dierum meorum vadam ad portas inferi» (Is. 38, 10). Le parole del profeta – che narra in quel capitolo l’intervento salvifico di Dio per strappare un uomo alla morte – stabiliscono la seconda dimensione del racconto: sono così già posti i due piani, terrestre e celeste, sui quali si svolgerà tutto il poema al quale ha posto mano, come Dante stesso dirà, e cielo e terra (Par. XXV 2).
nostra: con questo aggettivo il singolo personaggio Dante accomuna a sé tutta l’umanità. Scopo del poema infatti, come abbiamo ricordato nella Introduzione, è «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» (Ep. XIII 39). Così Dante assume in persona propria questo viaggio, che è di tutti gli uomini, dall’oscurità (la selva) alla luce, dal dolore alla felicità, e la sua vicenda personale, storicamente reale e databile, diventa segno dell’universale vicenda umana.
Il mezzo del cammin. È decisamente da rifiutare l’interpretazione, già di alcuni antichi, per cui il «mezzo del cammin» sarebbe il sonno, nel quale si passa metà della vita (cfr. Eth. Nic. I 13), inteso come figura di uno stato di visione, quale si ritrova anche nella Scrittura. Il testo infatti indica chiaramente il punto medio di un cammino, cioè di un percorso, nel quale si è smarrita la strada: e poco oltre (v. 11) si userà la metafora del sonno per indicare lo stato in cui il viandante era quando è entrato nella selva: mentre ora, che se ne accorge (mi ritrovai), è ben sveglio. Tale uso della metafora in senso opposto è ovviamente inammissibile. Ma l’interpretazione tradizionale è confermata (oltre che dal passo del Convivio citato sopra, in nota a Nel mezzo del cammin…) dai molti luoghi del poema che offrono una data, e che portano tutti, come si è detto, al 1300 (cfr. Inf. VI 67-9, X 79-81, XXI 112-4; Purg. II 98-9, XXIII 76-8; Par. XVII 80-1; ecc.): vedi soprattutto Inf. XXI 112-4, dove si precisano, oltre l’anno, anche il giorno e l’ora. Ultima conferma il passo citato di Is. 38, 10, riscontro che appare decisivo.
2. mi ritrovai: mi ritrovai a essere, presi coscienza di trovarmi; «dice l’essersi lui accorto di trovarsi là entro…» (Tommaseo). Di qui lo sgomento e la paura. Quando c’era entrato infatti, e fino a quel momento, non ne aveva avuto coscienza (Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai: v. 10). Questo preciso momento, in cui l’uomo si accorge del suo smarrimento (v. 3), e se ne spaventa (v. 6), è appunto l’inizio della conversione, e segna l’inizio del poema.
per una selva oscura: per vale «per entro», mantenendo il senso latino di moto per luogo; indica quindi il camminare senza meta proprio di chi si è smarrito. La selva è l’immagine antica e immediatamente comprensibile del male e dell’errore, diffusa in tutta la letteratura cristiana, e come tale Dante stesso la usa nel Convivio: «la selva erronea di questa vita» (Conv. IV, XXIV 12). D’altra parte, nell’ambito letterario, la selva si ritrova all’entrata dell’Averno virgiliano (Aen. VI 131, 179, ecc.) e, per restare agli autori più cari a Dante, proprio lo smarrimento nella selva segna l’inizio della storia nel Tesoretto di Brunetto Latini, come di molti testi romanzi (Curtius, p. 446). Questa metafora abbraccia quindi secoli di tradizione (e osserviamo fin d’ora che tale sarà tutto il linguaggio della Commedia, sempre antichissimo, ma insieme straordinariamente nuovo). Essa significa qui, come quasi tutti hanno inteso, uno stato di peccato: «per silvestria loca… idest per operationes vitiosas» (Pietro). La selva è infatti oscura perché non vi splende il sole (v. 60), segno del bene e di Dio. La metafora luce-tenebre, di origine evangelica (Io. 1, 5), si ritroverà poi come motivo conduttore per tutta la Commedia. Dante vuole indicare nella selva, come preciserà a chiare lettere più oltre nel poema (cfr. Purg. XXIII 115-20 e XXX 130-2), un reale periodo di traviamento della sua vita, che è qui lasciato nell’indeterminato, proprio perché vuol essere nello stesso tempo figura del generale sbandamento dell’umanità.
3. che: i più lo intendono come congiunzione causale (giacché, poiché), ma ci sembra più esatto l’altro valore proposto (dal Pagliaro e dal Pézard), di congiunzione modale («nella situazione di aver smarrito la via») che meglio corrisponde al significato indicato sopra del verbo mi ritrovai, che la congiunzione determina. Dante vuole infatti qui descrivere la situazione in cui viene all’improvviso a trovarsi: in mezzo a una selva oscura, smarrito il cammino. Per un simile uso del che, non perfettamente definibile, cfr. VIII 64 e 110. (Secondo questa interpretazione sintattica, diamo nel testo il che non accentato, a differenza dell’ed. Petrocchi, che lo intende come causale.)
la diritta via: più precisamente degli altri commentatori (che spiegano in generale: «la via della virtù»), Pietro di Dante ha penetrato il vero valore di questa espressione: l’origine dell’anima umana è il cielo, e l’anima naturalmente desidera tornare nella sua patria, cioè a Dio; altrimenti devia dalla strada diritta, cosa che l’uomo può fare, unico nella natura, grazie al libero arbitrio. Più rapidamente, ma analogamente, il Boccaccio: «egli è il vero che le vie son molte, ma tra tutte non è che una che a porto di salute ne meni e quella è esso Iddio». Tale senso profondo della «via diritta», che porta l’uomo al suo fine, cioè a Dio – metafora anch’essa ben antica e radicata nel Vangelo –, regge, come si vedrà, tutta l’invenzione del viaggio dantesco.
era smarrita: e non perduta, notano già gli antichi commentatori, perché poteva ancora ritrovarla: «questa via… si smarrisce… perché chi vuole la può ritrovare, mentre nella presente vita stiamo» (Boccaccio). Tuttavia in questo momento essa appare ben lontana. Questo terzo verso, con la sua precisa cadenza, mantiene e conclude la linea piana dei primi due. Il «sermo humilis», a tutti accessibile,...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Criteri del commento
  5. Cronologia
  6. Opere citate
  7. Schema dell’Inferno dantesco
  8. La Divina Commedia. Inferno
  9. Canto I
  10. Canto II
  11. Canto III
  12. Canto IV
  13. Canto V
  14. Canto VI
  15. Canto VII
  16. Canto VIII
  17. Canto IX
  18. Canto X
  19. Canto XI
  20. Canto XII
  21. Canto XIII
  22. Canto XIV
  23. Canto XV
  24. Canto XVI
  25. Canto XVII
  26. Canto XVIII
  27. Canto XIX
  28. Canto XX
  29. Canto XXI
  30. Canto XXII
  31. Canto XXIII
  32. Canto XXIV
  33. Canto XXV
  34. Canto XXVI
  35. Canto XXVII
  36. Canto XXVIII
  37. Canto XXIX
  38. Canto XXX
  39. Canto XXXI
  40. Canto XXXII
  41. Canto XXXIII
  42. Canto XXXIV
  43. Note al canto I
  44. Note al canto II
  45. Note al canto III
  46. Note al canto IV
  47. Note al canto V
  48. Note al canto VI
  49. Note al canto VII
  50. Note al canto VIII
  51. Note al canto IX
  52. Note al canto X
  53. Note al canto XI
  54. Note al canto XII
  55. Note al canto XIII
  56. Note al canto XIV
  57. Note al canto XV
  58. Note al canto XVI
  59. Note al canto XVII
  60. Note al canto XVIII
  61. Note al canto XIX
  62. Note al canto XX
  63. Note al canto XXI
  64. Note al canto XXII
  65. Note al canto XXIII
  66. Note al canto XXIV
  67. Note al canto XXV
  68. Note al canto XXVI
  69. Note al canto XXVII
  70. Note al canto XXVIII
  71. Note al canto XXIX
  72. Note al canto XXX
  73. Note al canto XXXI
  74. Note al canto XXXII
  75. Note al canto XXXIII
  76. Note al canto XXXIV
  77. Copyright
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APA 6 Citation

Alighieri, D. (2014). La Divina Commedia. Inferno ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3302083/la-divina-commedia-inferno-pdf (Original work published 2014)

Chicago Citation

Alighieri, Dante. (2014) 2014. La Divina Commedia. Inferno. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3302083/la-divina-commedia-inferno-pdf.

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Alighieri, D. (2014) La Divina Commedia. Inferno. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3302083/la-divina-commedia-inferno-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Alighieri, Dante. La Divina Commedia. Inferno. [edition unavailable]. Mondadori, 2014. Web. 15 Oct. 2022.