Guerra e pace
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Guerra e pace

Lev Tolstoj, Emanuela Guercetti

  1. 1,680 pages
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Guerra e pace

Lev Tolstoj, Emanuela Guercetti

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«Temo la morte di Tolstoj. Se lui morisse, nella mia vita resterebbe un grande vuoto. Primo, non amo nessuno quanto lui: non sono credente, ma fra tutte le fedi è proprio la sua che ritengo piú vicina e adatta a me. Secondo, finché nella letteratura c'è Tolstoj, è facile e piacevole essere un letterato; perfino essere cosciente di non aver fatto e di non fare nulla non è cosí spaventoso, perché c'è Tolstoj che fa per tutti. La sua attività giustifica tutte le aspettative e le speranze che si ripongono nella letteratura. Terzo, Tolstoj sta saldo, la sua autorità è enorme, e finché lui è vivo il cattivo gusto in letteratura, ogni cosa volgare, sfrontata e lacrimosa, ogni ruvida e astiosa suscettibilità resterà lontana, nell'ombra profonda. Solo la sua autorità morale è in grado di mantenere a una certa altezza i cosiddetti umori letterari e le correnti. Senza di lui sarebbero solo un gregge senza pastore o un guazzabuglio in cui sarebbe difficile orientarsi».
Anton ?echov L'idea di Guerra e pace nasce da lontano, quando un Tolstoj ventottenne reduce dalla guerra di Crimea progetta un romanzo sui decabristi, gli aristocratici protagonisti della rivolta del dicembre 1825 che proprio in quell'anno 1856 ritornano, graziati, dalla deportazione. Sennonché Tolstoj si ritrova a cercare sempre piú indietro nel tempo la chiave per interpretare il presente, l'idea originaria viene abbandonata, e a partire dal 1863 prende forma l'ambiziosissimo progetto di un'opera corale che abbracci le guerre napoleoniche dal 1805 alla grande epopea del 1812, con l'invasione francese e l'incendio di Mosca, per spingersi con l'epilogo fino al 1820. In sette anni di lavoro intensissimo Tolstoj si documenta, legge monografie storiche, memorie, diari, scava nelle tradizioni famigliari, rielabora la sua esperienza di militare, scrive e riscrive schemi, appunti, varianti: migliaia di pagine. Il risultato è un'opera che ancora oggi stupisce per l'ampiezza e la profondità dello sguardo e in cui si fondono azione romanzesca, materiale storico e discorso filosofico, «non un romanzo, ancor meno un poema epico, ancor meno una cronaca storica», secondo Tolstoj stesso. A un secolo e mezzo dalla sua pubblicazione, Guerra e pace è ancora uno dei libri piú amati della letteratura occidentale: forse perché con la ricchezza del suo intreccio soddisfa la nostra sete di storie, o perché ci propone personaggi talmente vivi e attendibili che tendiamo a pensarli come uomini e donne reali. O perché qui Tolstoj porta a perfezione il suo famoso metodo artistico che ci fa vedere come nuovi oggetti e situazioni, e riesce a realizzare quello che in una lettera definisce, senza mezzi termini, come «il fine dell'artista»: «fare amare la vita in tutte le sue infinite, inesauribili manifestazioni ». Nientemeno. O perché ci affascina con la sua ostinata ricerca della verità, applicata sia all'analisi psicologica sia alla descrizione dei comportamenti sociali, sia all'indagine di quell'«infinito labirinto di nessi» che è per lui il tessuto della storia. Una ricerca che spesso si avvale anche dell'umorismo, e che non teme le contraddizioni. Cosí in Guerra e pace la potente denuncia degli orrori e dell'insensatezza della guerra non esclude la descrizione della bellezza di un campo di battaglia o dell'ebbrezza di una carica di cavalleria, e nel resoconto di una battuta di caccia c'è posto per la felicità di chi avvista il lupo e per i «pensieri» dell'animale braccato.

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2018
ISBN
9788858430019
Subtopic
Classici

Libro terzo

Parte prima

1.

Già alla fine del 1811 era iniziato un intensivo riarmo e concentramento di forze dell’Europa occidentale, e nel 1812 queste forze – milioni di uomini, contando quelli che trasportavano e nutrivano l’armata – si mossero da occidente a oriente, verso i confini della Russia dove, analogamente, dal 1811 andavano confluendo le truppe russe. Il 12 giugno gli eserciti dell’Europa occidentale varcarono le frontiere della Russia, e incominciò la guerra, cioè si compí un evento contrario alla ragione umana e a tutta l’umana natura. Milioni di uomini commisero l’uno contro l’altro una quantità cosí innumerevole di scelleratezze, inganni, tradimenti, furti, contraffazioni ed emissione di banconote false, rapine, incendi e omicidi, quale gli annali di tutti i tribunali del mondo non raccoglierebbero in secoli interi, senza che in quel periodo di tempo gli uomini che li commettevano li considerassero crimini.
Come si produsse questo evento straordinario? Quali ne furono le cause? Gli storici con ingenua sicurezza dicono che le cause di questo evento furono l’oltraggio arrecato al duca di Oldenburgo, l’inosservanza del blocco continentale, la sete di potere di Napoleone, la fermezza di Alessandro, gli errori dei diplomatici eccetera.
Di conseguenza, sarebbe bastato che Metternich, Rumjancev o Talleyrand, fra un circolo a corte e un ricevimento, si fossero messi d’impegno per benino e avessero scritto un po’ piú abilmente una certa carta, o che Napoleone avesse scritto ad Alessandro: «Monsieur, mon frère, je consens à rendre le duché au duc d’Oldenbourg»a e la guerra non ci sarebbe stata.
È comprensibile che questo fosse il punto di vista dei contemporanei. È comprensibile che Napoleone vedesse la causa della guerra negli intrighi dell’Inghilterra (come infatti disse sull’isola di Sant’Elena); è comprensibile che i membri del parlamento inglese vedessero la causa della guerra nella sete di potere di Napoleone; che il principe di Oldenburgo vedesse la causa della guerra nel sopruso di cui era stato vittima; che i mercanti vedessero la causa della guerra nel blocco continentale che mandava in rovina l’Europa, che i vecchi soldati e i generali ne vedessero la causa principale nella necessità di impiegarli in qualche azione; che i legittimisti del tempo credessero necessario restaurare les bons principesb, e i diplomatici del tempo invece credessero che tutto fosse accaduto perché l’alleanza fra la Russia e l’Austria nel 1809 non era stata celata abbastanza abilmente a Napoleone e perché il mémorandum n. 178 era mal scritto. È comprensibile che i contemporanei individuassero queste e altre innumerevoli, infinite cause, la cui quantità dipende dall’innumerevole varietà di punti di vista; ma per noi posteri, che contempliamo in tutta la sua portata l’enormità di quell’evento e cerchiamo di penetrarne il senso semplice e terribile, queste cause appaiono insufficienti. Per noi è incomprensibile che milioni di uomini di fede cristiana dovessero uccidersi e torturarsi a vicenda perché Napoleone era assetato di potere, Alessandro inflessibile, la politica dell’Inghilterra astuta e il duca di Oldenburgo offeso. Non si può capire quale legame abbiano queste circostanze con il fatto stesso dell’omicidio e della violenza; perché, in conseguenza dell’offesa arrecata a un duca, migliaia di uomini venuti dall’altra estremità dell’Europa dovessero uccidere e seminare rovina fra la gente dei governatorati di Smolensk e di Mosca, ed esserne a loro volta uccisi.
A noi posteri, che non siamo degli storici e non ci lasciamo prendere dal gusto della ricerca in sé e perciò contempliamo l’evento con buon senso non offuscato, le sue cause appaiono innumerevoli. Quanto piú ci addentriamo nella ricerca delle cause, tante piú ne scopriamo, e ciascuna causa presa singolarmente, o anche intere serie di cause ci appaiono ugualmente giuste di per sé, e ugualmente false per la loro inconsistenza in confronto all’enormità dell’evento e per la loro inefficacia (senza il concorso di tutte le altre concause) a produrre l’evento che si è compiuto. Se la causa è stata il rifiuto di Napoleone di ritirare le sue truppe oltre la Vistola e di restituire il ducato di Oldenburgo, altrettanto importante ci appare anche il desiderio o il non desiderio di un qualsiasi caporale francese di rinnovare la ferma: giacché se egli non avesse voluto tornare sotto le armi e non l’avesse voluto il secondo, il terzo e il millesimo caporale e soldato, ci sarebbero stati tanti meno uomini nell’esercito di Napoleone, e la guerra sarebbe stata impossibile.
Se Napoleone non si fosse sentito offeso dall’ingiunzione di ritirarsi oltre la Vistola e non avesse ordinato alle truppe di avanzare, non ci sarebbe stata la guerra; ma la guerra sarebbe stata impossibile anche se tutti i sergenti non avessero voluto rinnovare la ferma. La guerra sarebbe stata impossibile anche se non ci fossero stati gli intrighi dell’Inghilterra e non ci fosse stato il principe di Oldenburgo e il sentimento di offesa in Alessandro, e non ci fosse stato il potere autocratico in Russia, e non ci fosse stata la Rivoluzione francese, e la dittatura e l’impero che ne seguirono, e tutto ciò che aveva prodotto la Rivoluzione francese, e cosí via. Senza una sola di queste cause nulla avrebbe potuto essere. Dunque, tutte queste cause – miliardi di cause – hanno concorso a produrre ciò che è accaduto. E, di conseguenza, nessuna è stata la causa esclusiva dell’evento, ma l’evento doveva compiersi solo perché doveva compiersi. Milioni di uomini, rinnegando i loro sentimenti umani e la loro ragione, dovevano andare da ovest verso est e uccidere i loro simili, esattamente come alcuni secoli prima altre orde di uomini, uccidendo i loro simili, erano andate da est verso ovest.
Le azioni di Napoleone e di Alessandro, dalla cui parola pareva dipendere che l’evento si compisse oppure no, erano altrettanto poco libere dell’azione di ciascun soldato che andava in guerra perché sorteggiato o reclutato. Non poteva essere altrimenti, perché, affinché fosse eseguito il volere di Napoleone e di Alessandro (gli uomini dai quali sembrava dipendere l’evento), era indispensabile il concorso di innumerevoli circostanze, senza una sola delle quali l’evento non avrebbe potuto compiersi. Era necessario che milioni di uomini nelle cui mani era la forza effettiva, bisognava che questi soldati che sparavano, trasportavano viveri e cannoni acconsentissero a eseguire quel volere di singoli, deboli individui, e vi fossero indotti da un numero incalcolabile di complessi, svariati motivi.
Il fatalismo nella storia è inevitabile per spiegare i fenomeni irrazionali (cioè quelli di cui non comprendiamo la razionalità). Quanto piú ci sforziamo di spiegare razionalmente questi fenomeni storici, tanto piú irrazionali e incomprensibili essi diventano per noi.
Ogni uomo vive per sé, usa la sua libertà per conseguire i suoi fini personali e sente con tutto il suo essere di poter fare o non fare, ora, una certa azione; ma non appena l’avrà fatta, quell’azione compiuta in un determinato momento diventa irreversibile e si trasforma in patrimonio della storia, dove il suo significato non è piú libero, ma predeterminato.
La vita di ogni uomo ha due aspetti: c’è la vita personale, tanto piú libera quanto piú astratti sono i suoi interessi, e c’è la vita elementare, di sciame, dove l’uomo inevitabilmente segue le leggi che gli sono prescritte.
L’uomo vive consapevolmente per sé, ma serve da strumento inconsapevole per il raggiungimento di fini storici che sono comuni a tutta l’umanità. Un atto compiuto è irreversibile, e il suo effetto, coincidendo nel tempo con quello di milioni di atti di altri uomini, acquista un significato storico. Quanto piú in alto sta un uomo sulla scala sociale, con quante piú persone è legato, quanto piú potere ha sugli altri uomini, tanto piú evidente è la predeterminazione e l’inevitabilità di ogni suo atto.
«Il cuore del re è nella mano del Signore»1.
Il re è schiavo della storia.
La storia, cioè la vita inconsapevole, collettiva, la vita di sciame dell’umanità, si serve di ogni minuto della vita dei re come di uno strumento per i propri scopi.
Anche se mai come nel 1812 gli era sembrato che da lui dipendesse verser o non verser le sang de ses peuplesc (come gli scrisse Alessandro nella sua ultima lettera), Napoleone non era mai stato piú sottomesso a quelle leggi ineludibili che lo costringevano (mentre in quanto individuo agiva secondo il proprio arbitrio, cosí almeno credeva) a fare quel che doveva compiersi per il destino comune, per la storia.
Le genti d’occidente muovevano verso oriente per uccidere ed essere uccise. E, secondo la legge della coincidenza delle cause, migliaia di cause spicciole di questo movimento e della guerra andarono a inserirsi e coincisero con l’evento: le proteste per la violazione del blocco continentale, e il duca di Oldenburgo, e il movimento di truppe verso la Prussia, intrapreso (come Napoleone credeva) solo per giungere a una pace armata, e l’amore e l’abitudine alla guerra dell’imperatore francese, venuti a coincidere con l’inclinazione del suo popolo, e l’entusiasmo per la grandiosità dei preparativi, e le spese per quei preparativi, e la necessità di acquisire vantaggi che ripagassero quelle spese, e l’ubriacatura per gli onori ricevuti a Dresda, e le trattative diplomatiche che, secondo l’opinione dei contemporanei, erano state condotte con il sincero desiderio di raggiungere la pace e invece avevano solo ferito l’amor proprio dell’una o dell’altra parte, e milioni di milioni di altre cause, che si inserirono nell’evento che doveva compiersi, coincidendo con esso.
Quando la mela è matura e cade, perché cade? Perché viene attratta dalla terra, perché il picciolo avvizzisce, perché è asciugata dal sole, perché si è appesantita, perché il vento la scuote, perché il bambino che sta sotto vuole mangiarla?
Nulla è la causa. Tutto questo è solo la coincidenza delle condizioni nelle quali si compie ogni fatto vitale, organico, spontaneo. E il botanico che troverà che la mela cade perché il tessuto cellulare si decompone e cose simili, avrà altrettanta ragione e altrettanto torto del bambino che sta sotto e dirà che la mela è caduta perché lui aveva voglia di mangiarla e aveva pregato per questo. Altrettanta ragione e altrettanto torto avrà chi dirà che Napoleone andò a Mosca perché l’aveva voluto, e che si rovinò perché Alessandro aveva voluto la sua rovina: come avrà ragione e torto chi dirà che una montagna di un milione di pud sotto la quale si sono fatti degli scavi è franata perché l’ultimo operaio ha dato l’ultima picconata. Negli eventi storici i cosiddetti grandi uomini sono etichette che danno il nome all’evento: e proprio come le etichette, meno di qualsiasi altra cosa hanno rapporto con l’evento stesso.
Ogni loro azione, che essi credono frutto del loro libero arbitrio, da un punto di vista storico è invece obbligata, legata a tutto il corso della storia e predeterminata ab aeterno.

2.

Il 29 maggio Napoleone lasciò Dresda, dove aveva trascorso tre settimane circondato da una corte costituita da principi, duchi, re e perfino da un imperatore. Prima della partenza Napoleone aveva mostrato la sua benevolenza ai principi, ai re e all’imperatore che se l’erano meritata, aveva rimproverato i re e i principi di cui era scontento, aveva donato all’imperatrice d’Austria perle e brillanti di sua proprietà, cioè sottratti ad altri re, e dopo avere abbracciato teneramente l’imperatrice Maria Luisa, come dice il suo storico, l’aveva lasciata addolorata da una separazione che lei (questa Maria Luisa considerata sua consorte, sebbene a Parigi ne fosse rimasta un’altra, di consorte) non sembrava in grado di sopportare. Benché i diplomatici credessero ancora fermamente nella possibilità della pace e lavorassero con impegno a questo scopo, benché lo stesso imperatore Napoleone avesse scritto una lettera all’imperatore Alessandro chiamandolo Monsieur mon frère e assicurandogli sinceramente che non desiderava la guerra e che l’avrebbe sempre amato e stimato, egli andava a raggiungere l’armata e a ogni stazione dava nuovi ordini che avevano lo scopo di affrettare il movimento delle truppe da ovest verso est. Viaggiava in una carrozza tirata da sei cavalli, circondato da paggi, da aiutanti di campo e dalla scorta, lungo la strada per Posen, Thorn, Danzica e Königsberg. In ognuna di queste città migliaia di persone lo accoglievano con trepidazione ed entusiasmo.
L’armata si muoveva da ovest a est, e i sei cavalli, via via sostituiti, lo portavano nella stessa direzione. Il 10 giugno raggiunse l’armata e pernottò nella foresta di Wyłkowyszki, in un alloggio preparato per lui nella tenuta di un conte polacco.
Il giorno dopo Napoleone, superata l’ar...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. di Leone Ginzburg
  4. Elenco dei personaggi
  5. Guerra e pace
  6. Libro primo
  7. Libro secondo
  8. Libro terzo
  9. Libro quarto
  10. Epilogo
  11. Note
  12. Il libro
  13. L’autore
  14. Dello stesso autore
  15. Copyright
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APA 6 Citation

Tolstoj, L., & Guercetti, E. (2018). Guerra e pace ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3425008 (Original work published 2018)

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Tolstoj, Lev, and Emanuela Guercetti. (2018) 2018. Guerra e Pace. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3425008.

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Tolstoj, L. and Guercetti, E. (2018) Guerra e pace. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3425008 (Accessed: 25 June 2024).

MLA 7 Citation

Tolstoj, Lev, and Emanuela Guercetti. Guerra e Pace. [edition unavailable]. EINAUDI, 2018. Web. 25 June 2024.