Satira I.
Quando si diffuse la notizia (agosto 1517) che il cardinale Ippolito, vescovo di Agria (Eger) in Ungheria, avrebbe dovuto stabilirsi personalmente in quei paesi, l’Ariosto, invitato ad accompagnarlo quale suo familiare, rifiutò. Il Cardinale se n’ebbe a male, e minacciò di togliere al poeta benefici o beni secolari precedentemente largitigli. La partenza, stabilita per il 18 ottobre, avvenne il 25. La satira, certo posteriore all’8 settembre, dato che l’Ariosto si dichiara entrato nel quarantaquattresimo anno, e anteriore alla seconda satira, del novembre-dicembre, deve essere stata scritta negli ultimi giorni prima della partenza del Cardinale, o forse anche dopo: si noti infatti che il Poeta considera la corte come già stabilita ad Agria. La situazione è analoga a quella dell’Epist. I, VII, 1-36 di Orazio, con cui vi sono rapporti diretti, specialmente per l’apologo finale.
1. Alessandro, il piú giovane dei fratelli dell’Ariosto, seguí Ippolito d’Este (il signor del v. 4) in Ungheria, come pure Ludovico da Bagno, nobile mantovano, amico e parente dell’Ariosto, di cui tenne a battesimo il figlio Virginio; dal 1506 era segretario del Cardinale.
2. La corte aveva sede in Agria, che è la moderna Eger.
5. Concerto; cfr. Petrarca, Rime, CLVI, 10; CCCXXIII, 44.
6. Espressione dantesca (Inf., X, 93).
8. Ciascuna delle ragioni addotte era sufficiente per trattenermi; cfr. cap. X, 24: «m’avesse avuto di tener balia».
11. Se la diagnosi del Valentino e del Postumo è stata giusta, anche un lieve peggioramento mi ucciderebbe. Il Valentino è Giovanni Andrea Valentino da Modena, medico e familiare di Ippolito, che seguí in Ungheria. Di Guido Silvestri detto il Postumo, poeta latino e volgare, medico della corte di Ippolito, fece l’Ariosto un superbo elogio nel Fur., XLII, 89.
12. Rimedi: cfr. sat. V, 88.
14. Stufe, ma col valore di “camere riscaldate”. Come nota Capra, «il “fastidio delle stufe” è un topos preletterario ben stabilito nella conversazione cortigiana estense, da Pandolfo Collenuccio ad Antonio Costabili».
16. Chi, come altrove nell’Ariosto: sat. II, 270; III, 268; V, 53, 154; VII, 76.
18. Qui, come nell’espressione costà sotto il polo (v. 35), c’è una reminiscenza dei versi: «Talis Hyperboreo septem subiecta trioni Gens effrena virum Riphaeo tunditur Euro», Virgilio, Georg., III, 381. I Latini chiamavano «Riphaei» dei monti non ben determinati in Scizia. Le «montagne Rife» sono citate per il loro gelo in Purg., XXVI, 43, e come luogo di provenienza degli ippogrifi in Fur. IV, 18, 7.
20. Cosí chiamava Tibullo il “falerno”, II, I, 27, cioè “forte”, che laggiú si beve a inviti (cfr. Della Casa, Galateo, XXIX: «Lo invitare a bere, la qual usanza, siccome non nostra, noi nominiamo con vocabolo forestiero, cioè far brindisi»); esso gli sarebbe peggio che veleno (tòsco).
21. Zenzero; cfr. Fur., XXXIV, 46, 4.
24. Cuoco del cardinale Ippolito ricordato piú volte nei registri di spese.
25. L’Ariosto avrà la possibilità di scegliere tutti i cibi che preferisca... tra quelli comperati per il seguito (la famiglia, col valore latino). Francesco di Siviero era lo «spenditore» incaricato di fare gli acquisti per la famiglia cardinalizia.
26. Secondo la vecchia teoria umorale, le affezioni bronchiali erano conseguenza di eccesso di flemma nel cervello; occorreva evitare, ché lo favorivano, i cibi piccanti e i vini (cfr. sat. II, 53-54).
27. Il suo acquisto non venga approvato.
28. Ridotto a vivere di pane e acqua, diventerei cosí iracondo da venire a lite con gli amici ogni momento (alli dui motti: ogni due parole).
29. Immagina l’Ariosto che qualcuno degli amici gli consigli di acquistarsi i cibi a sue spese. Lo «scotto» era il prezzo di un pasto consumato all’osteria: l’Ariosto anticipa qui l’immagine dei vv. 86-87. Per tua “tuoi” cfr. Fur., XIX, 102, 4 (AB tuoi). Fare l’ostería significa per lo piú allestire cibi per venderli ad altri; qui invece l’Ariosto i cibi li avrebbe procurati a se stesso. Ma purtroppo il suo disgraziato servizio di cortigiano (la mala servitude) non gli rendeva abbastanza per poterlo fare: il suo stipendio annuale era di lire 240.
31. Son parole di Apollo e delle Muse; l’Ariosto interrompe il loro discorso: è inutile che gli ricordino i doni e gli emolumenti del Cardinale, perché non è in premio dei suoi lavori di poesia (per voi) che egli li ha ricevuti.
32. Il bisticcio sul nome del Colosseo, di cui era diffusa la forma Culiseo, è tutt’altro che nuovo: si trova nel Burchiello, nel Pistoia, nel Berni; cfr. Commedie, p. 1030.
33. Il Cardinale non vuole che si considerino come degne di premio le lodi poetiche rivoltegli dall’Ariosto; gli sembra piú meritevole un lungo viaggio compiu...