Cose da non credere
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Cose da non credere

Il senso comune alla prova dei numeri

Gianpiero Dalla Zuanna, Guglielmo Weber

  1. 156 pages
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Cose da non credere

Il senso comune alla prova dei numeri

Gianpiero Dalla Zuanna, Guglielmo Weber

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"Non ci sono più le famiglie di una volta"; "Stiamo diventando sempre più vecchi: ci aspetta un futuro di povertà"; "Gli italiani non vogliono più avere bambini"; "L'unico investimento sicuro è il mattone"; "Nel nostro paese ci sono troppi immigrati": sono alcuni dei luoghi comuni che ascoltiamo ogni giorno. Luoghi comuni basati su paure e incertezze per le possibili conseguenze di alcuni cambiamenti della nostra società, fra cui la sempre maggiore longevità e l'aumento delle migrazioni globali. Nel clima di vera e propria rivoluzione demografica che sta toccando tutti i momenti cardine della vita degli italiani, la prima sfida che bisogna affrontare è alle mentalità individuali.Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber smontano pregiudizi e descrizioni sommarie per comprendere cosa sta veramente accadendo nel nostro paese e restituire un'immagine dell'Italia fondata su numeri e dati reali perché «il senso comune si nutre di miti, il buon senso di fatti».

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Information

Year
2012
ISBN
9788858103753

1. Non ci sono più le famiglie di una volta

Tirata per la giacca dalla politica e continuamente evocata da tutti gli attori della società civile, la famiglia è il vero mito fondativo della società italiana. Per ogni abitante del Bel Paese è difficile immaginare passato, presente e futuro senza fare riferimento alla propria famiglia. Inoltre, tutte le altre organizzazioni (imprese, bande criminali, associazioni di volontariato, università...) debbono fare i conti con la famiglia, spesso come fonte di ispirazione, altre volte cercando di differenziarsene.
La famiglia ideale che ognuno di noi si porta dentro può essere assai diversa da quella reale. Ciò è ben noto ai pubblicitari, che nel confezionare i loro messaggi utilizzano a piene mani stereotipi ben oliati, contribuendo a consolidarli. Nell’Italia degli anni Settanta, la famiglia è stata messa in discussione. Sono stati gli anni della crisi dell’autorità paterna, del movimento delle donne, dei referendum favorevoli al divorzio (1974) e all’aborto (1981), del nuovo diritto di famiglia (1975). Tutto questo sparisce negli spot, dove le famiglie di ieri degli adulti di oggi vengono raffigurate a tinte pastello, con la mamma casalinga ben pettinata e abbigliata già alle otto di mattina, bambini in salute e sorridenti attorno alla tavola imbandita, il papà dal benevolo sguardo dominante seduto al posto d’onore. Se i pubblicitari continuano da anni a seguire questa strada, evidentemente la cosa funziona: grazie a questi spot le ditte committenti ritengono di vendere agli ingrassati bambini di ieri qualche biscotto, formaggino o pacco di pasta in più.
Uno degli autori di questo libro si trova spesso a raccontare davanti ai più vari consessi (lezioni universitarie, corsi di formazione per sindacalisti, incontri per capi scout e per fidanzati nelle parrocchie...) i veloci cambiamenti e le inossidabili continuità della famiglia italiana. I due quesiti ricorrenti sono: perché in Italia, se la famiglia è tanto importante, le separazioni coniugali aumentano così rapidamente? Ed è vero che la famiglia italiana sta andando verso un declino inarrestabile? Alla fine di queste lezioni e conferenze, i sentimenti prevalenti fra gli ascoltatori sono due: stupore e gratitudine. Stupore, perché molti si accorgono che la famiglia reale (del presente e del passato) è molto diversa da quella della loro percezione o dei loro ricordi. Gratitudine, perché l’insicurezza e l’inquietudine che molti si portano dentro sul futuro della famiglia italiana si stemperano davanti a spiegazioni razionali. Perché gli strumenti interpretativi delle scienze sociali – anche se non suggeriscono il ritorno a una (mai esistita) età dell’oro della famiglia – aiutano a comprendere cosa sta succedendo al figlio, al cognato, o al vicino di casa, e mostrano che forse il domani non sarà poi così diverso dall’oggi.

La mitologia della famiglia italiana

Intrecciata con la famiglia in carne e ossa, vive nella mente di molti italiani una famiglia mitica. Secondo questa visione, fino a metà del Novecento tutte le famiglie sarebbero state formate da più generazioni: la coppia di genitori «anziani», i figli maschi sposatisi in giovane età, le loro spose, i nipotini. Inoltre, all’interno di questa famiglia, si sarebbe realizzato una sorta di dispotismo illuminato: l’autoritario, ma benevolo e giusto, padre «anziano» veniva rispettato e obbedito da tutti e sua moglie era sovrana dello spazio domestico.
A partire da metà Novecento, le cose sarebbero cambiate. Sulla spinta dell’industrializzazione, del consumismo e della perdita dei valori, la famiglia avrebbe iniziato a dissolversi. Dapprima la famiglia nucleare avrebbe preso il posto di quella complessa, perché i figli iniziavano a sposarsi fuori casa, stabilendosi lontano dai genitori. Poi, separazioni e divorzi sarebbero rapidamente cresciuti. Infine, il matrimonio avrebbe perso di appeal, sostituito dalla convivenza e/o dalla vita da single. Il declino del matrimonio sarebbe accompagnato da altri inquietanti segnali di crisi, prima fra tutti l’incapacità dei genitori di trasmettere ai figli – assieme a denari e proprietà – una scala di valori moralmente rispettabile.
Questa situazione non sarebbe caratteristica solo dell’Italia. Al contrario, il nostro paese seguirebbe la strada già battuta da alcuni stati del Nord e Centro Europa, araldi delle leggi permissive sulle coppie di fatto, sulle unioni gay, sull’adozione e la procreazione artificiale concesse su semplice richiesta anche ai single e alle coppie omosessuali, sull’aborto libero e sul divorzio breve. L’Italia si troverebbe quindi a condividere il futuro di tutti i paesi occidentali. Tutti più ricchi, quindi, ma tutti più soli, con i figli ricoperti d’oro, ma non educati, ostaggio di due genitori spesso fra loro in conflitto. È una visione che ricorda l’invivibile Los Angeles del 2019 di Blade Runner. Del resto, nei pochi anni che ci separano da quella data possono accadere cose che «voi umani non potete neppure immaginare», e forse la fine della famiglia fa ancora più paura delle «navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione».
Accanto a questa narrazione ricorrono continuamente miti collaterali, forse meno radicali, ma non meno radicati nei media e nel comune sentire. Il più ricorrente è quello dei bamboccioni, i trentenni costretti – dal mercato del lavoro – a restare a casa con i genitori, a differenza di quanto accadrebbe nel Nord Europa, vera mecca di opportunità per i giovani. Anche questo mito consolida l’idea di una famiglia inadatta ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo, partecipe da protagonista dell’inarrestabile declino della società italiana.
Il mito della fine della famiglia è stato alimentato anche da alcuni sociologi ed economisti. Una loro profezia suggerisce che – tramontato il ruolo di unità di produzione che caratterizzava il mondo agricolo – inevitabilmente la famiglia è destinata a perdere anche le altre sue funzioni, fino a diventare sostanzialmente irrilevante. Un’altra scuola di pensiero sottolinea quanto sia economicamente poco utile – e in alcuni casi addirittura dannoso – sposarsi per chi vive in una società industriale o post-industriale, perché il «ritorno» economico del matrimonio è oggi scarso o inesistente. Questa mancata utilità sarebbe particolarmente evidente per le donne istruite, che non hanno più bisogno di un uomo che le mantenga, permettendo loro di raggiungere e conservare un buon livello di vita.
Infine, l’idea di una famiglia malata, inadatta a sostenere le sfide della modernità, viene anche da interpretazioni più marcatamente ideologiche. Da un lato, la famiglia tradizionale viene vista come fonte di autoritarismo, repressione e nevrosi, da cui l’individuo può uscire solo liberando l’immaginazione, attraverso la rottura dei legami tradizionali. Questa visione tipicamente sessantottina è ora meno popolare, ma fa capolino ogniqualvolta i media inzuppano per settimane il pane in qualche orrendo delitto familiare, o vengono pubblicate statistiche sui divorzi o sulla litigiosità fra parenti. All’opposto, il declino della «famiglia tradizionale basata sul matrimonio fra un uomo e una donna» è visto come origine di tutti i mali, frutto avvelenato dell’abbandono dei valori tradizionali.
Come sempre accade per le storie affascinanti, le profezie e i miti appena illustrati contengono molte verità. Ma trascurano particolari cruciali, che ne ridimensionano la portata. Il problema principale di questa mitologia è che trasmette un’idea complessiva di declino della famiglia, idea che – come vedremo – è priva di fondamento. Riavvolgiamo quindi il nastro, proponendo una lettura radicata su dati empirici e fondata sulla storia, pur nella sintesi di questo spazio limitato. Iniziamo con lo smontare il mito dell’età dell’oro della famiglia italiana.

La vera famiglia italiana di una volta

Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, alcuni storici inglesi di Cambridge postularono che ci fosse una profonda differenza fra i paesi del Centro-Nord e del Sud-Est Europa. Secondo questi studiosi, nei paesi anglosassoni le famiglie del passato erano nucleari (padre, madre e figli), mentre in quelli mediterranei e slavi le famiglie erano formate da più nuclei appartenenti a più generazioni e coabitanti sotto lo stesso tetto. Il gruppo di Cambridge ha avuto il merito di mettere la famiglia sotto i riflettori della grande storia. Ma studi successivi hanno mostrato che per l’Italia aveva preso un abbaglio, estendendo a tutto il paese i dati della Toscana mezzadrile, dove effettivamente le famiglie complesse erano la grande maggioranza. L’analisi di centinaia di parrocchie, paesi e città sparsi per l’Italia fra il XV e il XX secolo dà un’immagine molto diversa. La famiglia complessa prevaleva nella campagna della mezzadria, dell’affitto e della piccola proprietà al Centro-Nord e nelle zone collinari del Sud. Al contrario, nelle zone bracciantili del Nord e del Sud, nelle Alpi e in tutte le città era più diffusa la famiglia nucleare, con gli sposi novelli che – al momento del matrimonio – mettevano su casa per conto loro. Inoltre, poteva accadere che, a distanza di pochi chilometri e al mutamento di ceto sociale, prevalessero forme familiari diverse.
Quindi, nell’Italia del passato le forme familiari si modellavano e rimodellavano attorno ad ambienti fisici ed economici fortemente differenziati dal punto di vista orografico, climatico, agricolo e/o urbanistico. Questo adattamento poteva raggiungere forme estreme. In Val Pusteria – oggi paradiso degli sciatori e degli amanti della cucina sudtirolese – per sposarsi c’era bisogno del permesso dell’autorità comunale o distrettuale, che di norma veniva negato a chi non aveva un capitale di almeno 200 fiorini. Di conseguenza, come mostra il censimento del 1880, le nubili e i celibi tra i quarantuno e i cinquant’anni raggiungevano l’incredibile quota del 50%, il valore più alto di tutto l’Impero asburgico (e probabilmente d’Europa).
Gli studi più recenti tendono ad attenuare la contrapposizione fra un passato fatto di matrimoni combinati, e un presente fatto di unioni romantiche. Tuttavia, resta vero che nell’Europa del passato l’amore non era condizione necessaria per la nascita e la continuità di un rapporto di coppia stabile. Spesso il tornaconto prevaleva, e la volontà dei due partner veniva messa in secondo piano. Scrive Margareth Lanzinger: «numerosi statuti cittadini prevedevano il consenso dei genitori, anzitutto quello paterno. Esso [...] non era condizione di validità del vincolo matrimoniale, ma veniva richiesto sotto pena di diseredare i figli disubbidienti o di altri svantaggi socioeconomici. In tal modo, si mirava a dare ai genitori uno strumento per impedire alleanze considerate sfavorevoli ai loro interessi». Le commedie di Carlo Goldoni raccontano come i matrimoni dei nobili e dei borghesi venissero attentamente combinati, mentre l’innamoramento fra due giovani poteva essere una seria minaccia per i patrimoni familiari. Per tutti gli altri – come i servi Arlecchino e Colombina, per i quali il patrimonio era solo un miraggio – il primo obiettivo del matrimonio era di aumentare la probabilità di mettere assieme il pranzo con la cena, per la coppia e per i futuri figli: anche per loro, essere innamorati era un optional, certamente auspicabile, ma non indispensabile.
Anche nell’Italia del passato i genitori investivano molto sui figli, unica vera assicurazione per la vecchiaia. Ma in tutta Europa, sia nelle famiglie ricche che in quelle povere, le relazioni interne alla famiglia erano prevalentemente formali. Il rapporto fra genitori e figli (e, se c’erano, nuore e nipoti) era di tipo feudale: in cambio di obbedienza e deferenza, i figli ricevevano protezione, e a tutti conveniva lavare i panni sporchi in famiglia, perché nella società europea premoderna l’individuo contava poco in quanto tale. Erano più importanti i gruppi a cui l’individuo stesso apparteneva, che lo difendevano dalle minacce esterne, gli garantivano identità e gli prescrivevano diritti, doveri, privilegi e vincoli. E il gruppo di base era senz’altro la famiglia.
In questo contesto, c’era poco spazio per gesti di affetto, e all’interno della famiglia non erano rare le violenze e le prevaricazioni. Nella favola di Cenerentola – nata a quanto pare nella Cina antica ed entrata con mille varianti nella tradizione popolare di svariate culture orientali e occidentali, fino alla mirabile versione di Walt Disney del 1950 – la bella figlia di un vedovo risposato viene schiavizzata dalla matrigna e dalle sorellastre, dopo la morte del padre. Da sola, la ragazza non ce la fa a riscattarsi: è necessario un intervento soprannaturale, che la libera dall’oppressione dei legami familiari. Pollicino (scritta da Charles Perrault a fine Seicento) e Hänsel e Gretel (scritta dai fratelli Grimm attorno al 1820) hanno una trama simile. Durante una carestia, alcuni bambini – abbandonati nella foresta dal padre su istigazione della madre – vengono insidiati da altri adulti affamati. Riescono a salvarsi solo opponendosi con astuzia alla forza bruta. Queste ultime due favole illustrano bene la tensione cui erano sottoposti i più sacri legami familiari, in un mondo dove quasi tutti vivevano sotto la minaccia dei tre cavalieri dell’Apocalisse: a peste, fame et bello libera nos Domine.

Il trionfo delle relazioni romantiche

A partire da fine Seicento, iniziando dai piani alti della società europea (nobiltà e borghesia) e dalla nascente classe operaia urbana, questo stato di cose comincia a cambiare. Le relazioni familiari si riscaldano, per così dire, incentrandosi sempre di più sull’affetto e sulla comprensione reciproca. Inoltre, vengono riconosciute le specificità della condizione femminile, dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’età anziana, definite in precedenza solo in negativo, come qualcosa di incompleto rispetto alla pienezza dell’uomo adulto. Non è del tutto chiaro come sia nata questa rivoluzione dell’intimità. È possibile che i mutamenti non abbiano avuto tanto un’origine economica, ma siano piuttosto parte del lento passaggio culturale dall’uomo medievale verso l’uomo contemporaneo. L’individuo – a poco a poco – diventa protagonista della vita politica, economica e sociale, portatore in sé di diritti e di doveri, a prescindere dalle comunità (il gruppo sociale e professionale, la religione, il gruppo etnico... e la famiglia) cui appartiene. Per quanto attiene questo capitolo, i cambiamenti più radicali riguardano le ragioni costitutive dell’unione di coppia. Il centro si sposta dal reciproco interesse (o l’interesse delle due famiglie d’origine) verso la reciproca attrazione. Nasce e si consolida l’unione romantica, con una porzione sempre più larga di persone che trovano insopportabile condividere la vita con qualcuno se non sussiste (più) un vero rapporto d’affetto.
Adottando questa prospettiva, è facile interpretare i tre grandi mutamenti delle unioni coniugali nei paesi occidentali avvenuti nel corso dell’ultimo secolo. In primo lu...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. 1. Non ci sono più le famiglie di una volta
  3. 2. Italians do it better
  4. 3. Gli italiani non vogliono più avere bambini
  5. 4. Stiamo diventando sempre più vecchi: ci aspetta un futuro di povertà
  6. 5. Ci vogliono far lavorare fino a cent’anni
  7. 6. L’unico investimento sicuro è il mattone
  8. 7. Nel nostro paese ci sono troppi immigrati
  9. 8. La bomba demografica ci distruggerà
  10. Conclusioni
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APA 6 Citation

Zuanna, G. D., & Weber, G. (2012). Cose da non credere ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3460469/cose-da-non-credere-il-senso-comune-alla-prova-dei-numeri-pdf (Original work published 2012)

Chicago Citation

Zuanna, Gianpiero Dalla, and Guglielmo Weber. (2012) 2012. Cose Da Non Credere. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3460469/cose-da-non-credere-il-senso-comune-alla-prova-dei-numeri-pdf.

Harvard Citation

Zuanna, G. D. and Weber, G. (2012) Cose da non credere. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3460469/cose-da-non-credere-il-senso-comune-alla-prova-dei-numeri-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Zuanna, Gianpiero Dalla, and Guglielmo Weber. Cose Da Non Credere. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2012. Web. 15 Oct. 2022.