Un salto nel voto
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Un salto nel voto

Ritratto politico dell'Italia di oggi

Luigi Ceccarini, Fabio Bordignon, Ilvo Diamanti

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Ritratto politico dell'Italia di oggi

Luigi Ceccarini, Fabio Bordignon, Ilvo Diamanti

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Le elezioni del febbraio 2013 hanno costituito una 'svolta'. Non si sa verso dove. Un salto nel 'vuoto'. Anzi: nel 'voto'. È difficile indovinare l'esito. Il poi. Perché il futuro, di questi tempi, non ha futuro. Meglio non fare previsioni. Il futuro è ieri.A quasi vent'anni dalle elezioni che hanno segnato il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, il voto del 2013 ha dato una svolta alla politica ma anche alla società italiana: dopo una lunghissima stagione di stabilità e di continuità elettorale, all'improvviso si è assistito all'irruzione dell'instabilità e della discontinuità. Lo dimostra il cambiamento di voto rispetto al 2008 di circa il 40% degli elettori. Così, il risultato delle urne ha riprodotto e quasi moltiplicato le divisioni che attraversano il Paese. Ha espresso un Parlamento dove coabitano tre diverse minoranze incomunicanti e inconciliabili. Incapaci di mediazione e di compromesso. Come siamo arrivati a questo? Quali sono le zone di forza dei singoli partiti? Quali le variazioni nel voto? Qual è il profilo dei votanti di ciascun partito? Quanto hanno contato la televisione e il web nell'indirizzare le preferenze? Quanto ha influito sui risultati la legge elettorale? Cosa sarebbe accaduto in presenza di un altro sistema?Le mappe riportate nei diversi capitoli di questo volume restituiscono con chiarezza e semplicità l'immagine della destrutturazione dell'assetto geopolitico italiano.

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Information

Year
2013
ISBN
9788858109540

1. Ritratto politico dell’Italia di oggi

di Fabio Bordignon e Luigi Ceccarini

Sorpresa, rimonta, boom, stallo: sono queste le parole chiave utilizzate nelle aperture dei principali giornali e telegiornali, all’indomani del voto, per descrivere l’esito delle Politiche 2013. Parole cariche di significato, che indubbiamente risentono delle immancabili (e sicuramente legittime) letture «di parte»: i risultati elettorali possono essere selezionati, confrontati e interpretati in modo differente, adottando angolazioni spesso non del tutto neutrali. Che in questa occasione sottolineano, a maggior ragione, la difficoltà nel ricavare dai numeri del voto indicazioni «oggettive»: a partire dall’individuazione dei vincitori e dei vinti. Sottolineano, inoltre, lo stato confusionale (e di preoccupazione) di un Paese e di una classe politica che sarebbero entrati, di lì a poco, in una fase di elevata incertezza.
La sorpresa, il vero e proprio stato di choc, è quella del centro-sinistra di fronte alla mancata vittoria: alla sconfitta nella vittoria. La rimonta – che diventa miracolo nella lettura dei giornali vicini al centro-destra – è quella di Silvio Berlusconi, che non solo non scompare dalla scena politica, ma arriva ad un soffio da Pier Luigi Bersani alla Camera.
I dati analizzati attraverso un «sondaggio sui sondaggi» (si veda il cap. 15) mostrano come, in realtà, molti dei trend che hanno preso forma al momento dello spoglio fossero in parte visibili nelle rilevazioni pre-elettorali. Come il risultato non fosse del tutto imprevisto e imprevedibile, sulla base delle stime ottenute dai principali istituti, nelle settimane precedenti al voto: nonostante l’evidente scarto tra sondaggi e «realtà». Allo stesso modo, l’idea del recupero di Berlusconi e del Pdl è fortemente messa in discussione dalla conta dei voti e dal confronto con le passate elezioni (si veda il cap. 7).
Il dato difficilmente contestabile è che l’autentico vincitore del voto sia il MoVimento 5 stelle. L’unico vincitore, protagonista di un nuovo boom, dopo quello della precedente primavera. Dopo la straordinaria progressione del 2012, nei sondaggi e nelle urne, il partito di Beppe Grillo conquista una frazione di voti senza precedenti, per una forza politica alla prima partecipazione alle elezioni generali – ancor più di Forza Italia nel 1994. Diventando un attore di primo piano su scala nazionale (si veda il cap. 5). Con il quale fare i conti nelle delicate scelte della fase post-elettorale: dalla costruzione del governo all’elezione del Capo dello Stato. Una affermazione chiara, difficilmente discutibile, quella del M5s.
Chiaro (si fa per dire) è anche l’esito complessivo: quello di un Parlamento altamente frammentato, diviso in almeno tre grandi anime – «tre grandi minoranze» – per lungo tempo incapaci di dare vita ad una maggioranza operativa. Uno stallo destinato a durare mesi.
In questo capitolo, le principali coordinate – geografiche, sociali e politiche – del voto 2013 vengono tracciate cercando di «prendere le distanze» da interpretazioni di parte, adottando una prospettiva avalutativa. Con l’obiettivo di delineare lo sfondo sul quale collocare le questioni e i casi analizzati, più nel dettaglio, nei successivi capitoli. Una lettura trasversale, che rimanda agli approfondimenti che strutturano questo volume. Dopo aver tracciato il quadro complessivo dei risultati, seguirà una ricostruzione della mappa del voto 2013, a partire dal suo impianto territoriale e sociale.

Tanti sconfitti. Un solo vincitore

Chi ha vinto e chi ha perso, dunque? Ha perso, anzitutto, la partecipazione elettorale: qualche punto percentuale in meno, ma tanto da dare l’idea di un ulteriore allontanamento dei cittadini dalla politica (Caciagli e Scaramozzino 1983; Caciagli e Nuvoli 1990). Si è trattato dell’affluenza più bassa registrata nell’Italia repubblicana, per quanto riguarda le elezioni politiche (Tuorto 2010). Da quasi il 94% negli anni Cinquanta, oggi gli elettori che si sono recati alle urne sono tre su quattro: 75,2% (fig. 1.1). Oltre cinque punti percentuali in meno rispetto al 2008, una flessione di oltre otto rispetto al 2006. A fronte di una base di aventi diritto stabilmente intorno ai 47 milioni, i votanti sono stati circa 39,3 milioni nel 2006, 37,9 nel 2008, 35,2 nel 2013.
Figura 1.1. Serie storica dell’andamento della partecipazione elettorale (v. % - Camera dei deputati)
Fonte: Osservatorio elettorale LaPolis (Univ. di Urbino) su dati del Ministero dell’Interno.
Sconfitti, soprattutto, sono i principali partiti che hanno segnato la recente storia politica italiana. Berlusconi è tornato in campo, dopo quasi venti anni dalla prima discesa in politica e dopo il «passo indietro» annunciato in Tv il 24 ottobre 2012. Con il consueto stile presidenziale e la consueta scenografia istituzionale: «non mi candiderò a premier. Primarie per il mio successore» (così i giornali sintetizzavano il suo discorso). Una scelta rimessa in discussione a pochi giorni di distanza, durante una «drammatica» conferenza stampa. Le primarie, dopo una lunga discussione, sono state poi accantonate e il Cavaliere ha ripreso il timone del centro-destra: come capo della coalizione, anche se non come candidato premier.
Durante la campagna, Berlusconi ha riproposto un copione ormai noto (e di indubbio successo): un protagonismo mediatico interamente centrato sulla sua persona (si vedano i capp. 4 e 13). Così facendo, è in parte risalito rispetto alle previsioni più negative, registrate nei momenti di maggiore difficoltà per il centro-destra (e caratterizzati da un’offerta politica ancora poco chiara e in fase di strutturazione, con il Pd che godeva di una visibilità mediatica e di un consenso sociale indotto dallo svolgimento delle primarie).
Berlusconi ha sicuramente evitato lo sgretolamento di quello che, ancora nel 2008, era il principale partito italiano. Di qui, il «mito della rimonta»: ma i risultati raccontano un’altra storia. La rimonta è stata del tutto «relativa», sicuramente non miracolosa, vista l’emorragia dei consensi subita dal Pdl.
Sconfitto, rispetto al posizionamento sulla griglia di partenza della campagna elettorale, è stato certamente il Pd (si veda il cap. 6). Lo stesso Bersani lo ha sottolineato nella consueta conferenza stampa post-voto: «siamo arrivati primi. Ma non abbiamo vinto!». Ed è difficile non parlare di sconfitta di fronte alla curva (cfr. fig. 6.1, nel cap. 6) che ne ricostruisce retrospettivamente la serie storica, mostrando come il 25,4% conseguito nel 2013 sia il risultato più basso rispetto a quelli delle forze che fanno parte della sua storia costitutiva. Un esito che ha frustrato l’ambizione del centro-sinistra di conseguire una maggioranza in Parlamento, autonoma o con il concorso dei parlamentari centristi. Anche perché gli altri grandi sconfitti del voto sono stati, indubbiamente, Mario Monti e il suo cartello di centro (si veda il cap. 8).
Sconfitti, infine, sono stati altri partiti minori, dentro e fuori le due principali coalizioni. La Lega Nord, pur superando la soglia simbolica del 4%, rientra nel suo «perimetro» del 2006: dopo una fase di crescita (tra il 2008 e il 2010) torna, di fatto, ai voti che aveva raccolto sette anni prima; perde molto in tutto il Nord, in particolare in Veneto, e torna del tutto marginale nelle regioni dell’Italia centrale, sostituita dal M5s. Un vero imprenditore politico, il partito di Grillo, che come la Lega in passato ha saputo far fruttare, in termini elettorali, il malessere esistente in diverse aree del Paese (si veda il cap. 11).
Sinistra ecologia e libertà (3,2%), fin troppo imbrigliata nel ruolo di alleato affidabile del Pd e di Bersani, non va oltre il risultato ottenuto alle Europee del 2009 (si veda il cap. 9).
Dopo la sconfitta del 2008, l’area della sinistra radicale rimane ancora priva di rappresentanza parlamentare, nonostante il tentativo di riunire sotto le insegne di Rivoluzione civile le diverse anime di questa tradizione politica. Al progetto, guidato da Antonio Ingroia, hanno partecipato i Comunisti italiani di Oliviero Diliberto, Rifondazione comunista di Paolo Ferrero, la Federazione dei Verdi di Angelo Bonelli, l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro e una serie di soggetti associativi (si veda il cap. 10). Ciò nondimeno, la lista si ferma al 2,3%, lontano dalla soglia di sbarramento del 4% (prevista per le liste non coalizzate – si veda il cap. 12).
Le stesse opinioni degli italiani, raccolte dai sondaggi all’indomani del voto1, mostrano come appena il 9% degli elettori indichi Berlusconi come vincitore del confronto elettorale. Una quota ben più ampia, ma comunque minoritaria (il 28%), incorona Bersani. Ma nel giudizio dell’opinione pubblica l’autentico vincitore di questa tornata è Grillo: il 51% lo ritiene tale. Una lettura, peraltro, difficilmente contestabile, anche alla luce dei dati «reali».
La progressione del M5s ha generato un vero e proprio tsunami, che si è abbattuto sul Parlamento e sui partiti. Il risultato complessivo è quello di una accelerazione del processo di destrutturazione del sistema politico (Ceccarini, Diamanti e Lazar 2012), che mette in discussione, anzitutto, lo schema bipolare che ha contraddistinto l’Italia durante la Seconda Repubblica.
L’immagine complessiva restituita dal voto è, dunque, quella di tre italie: distanti e difficili da ricomporre. Come ha confermato il lungo e travagliato percorso per la formazione di un nuovo governo.

La conta dei voti nell’Italia multipolare

La coalizione di Bersani prevale di 124 mila voti alla Camera e, in questo modo, strappa il premio di maggioranza su base nazionale, come previsto dalla attuale legge elettorale. Ottiene così 340 seggi a Montecitorio: un’ampia maggioranza. Al Senato, invece, l’assegnazione dei premi su base regionale ha prodotto l’assenza di una maggioranza definita (tabb. 1.1 e 1.2). La meccanica di questa particolare legge elettorale (si veda il cap. 12) obbligava il centro-sinistra a stra-vincere per prevalere anche al Senato. «Il Porcellum» costringeva Bersani, di fatto, ad espugnare contesti tradizionalmente ostili, come la Lombardia: dopo oltre 17 anni con Roberto Formigoni sulla poltrona di governatore e l’area berlusconiana stabilmente sopra il 50% in ogni consultazione politica dal 1994 ad oggi.
Tabella 1.1. Elezioni politiche 2013 - Riepilogo Camera dei deputati
* Con Monti per l’Italia nel voto all’estero.
Fonte: Osservatorio elettorale LaPolis (Univ. di Urbino) su dati del Ministero dell’Interno.
Tabella 1.2. Elezioni politiche 2013 - Riepilogo Senato della Repubblica
1 Nel Trentino-Alto Adige i voti sono attribuii al Pd solo quando è presente con una lista autonoma, non insieme alla Svp o altri soggetti. 2 Nel Trentino-Alto Adige presenta una lista comune con la Lega Nord. 3 Udc in Valle d’Aosta, Scelta civica-Con Monti per l’Italia in Trentino-Alto Adige.
Fonte: Osservatorio elettorale LaPolis (Univ. di Urbino) su dati del Ministero dell’Interno.
Tabella 1.3. Indice di bipolarismo (v. %)
* Parte proporzionale. ** Esclusa Lega Nord. *** Inclusa Rifondazione comunista.
Fonte: Osservatorio elettorale LaPolis (Univ. di Urbino) su dati del Ministero dell’Interno.
Bersani perde non solo in Lombardia, ma anche in Veneto, Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Rendendo vano anche il possibile accordo con il centro di Monti. Che peraltro, superando di poco la soglia del 10% alla Camera, resta al di sotto delle aspettative, trasformando la sua «discesa» nella competizione elettorale in un’autentica «salita» politica (si veda il cap. 8). Dopo le elezioni, non ha avuto i numeri per imporsi come interlocutore forte nelle trattative per la formazione del governo. Al Senato conquista solo 19 senatori (mediamente uno per regione, anche se in molte realtà del Sud non supera la soglia dell’8%).
Bersani, invece, ottiene la maggioranza relativa a Palazzo Madama che, tuttavia, anche sommata ai seggi del centro montiano, rimane lontana dalla soglia dei 158 senatori che assicurerebbero la maggioranza, e quindi i «numeri» per ottenere la fiducia.
Come nel 2006, forse in una situazione ancora più complicata del 2006, il quasi pareggio tra centro-destra e centro-sinistra produce equilibri parlamentari che determinano un...

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