La mafia non ha vinto
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La mafia non ha vinto

Il labirinto della trattativa

Giovanni Fiandaca, Salvatore Lupo

  1. 168 pages
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La mafia non ha vinto

Il labirinto della trattativa

Giovanni Fiandaca, Salvatore Lupo

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Se la trattativa fosse un reato, se lo Stato avesse ceduto, se la mafia avesse tratto benefici, allora le istituzioni sarebbero colpevoli. Ma non è così. Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo sostengono una tesi sorprendente: l'impianto accusatorio del pool di magistrati di Palermo non regge, i comportamenti di cui all'accusa non sono reato e Cosa Nostra non è stata salvata. Perché dunque si è scelto di celebrare questo processo? Perché gli italiani hanno bisogno di pensare che la mafia abbia vinto (e debba sempre vincere)? Uno sguardo nuovo su un processo ricco di ambiguità, di coni d'ombra, di nodi tecnici da sciogliere, nel quale si fondono e si confondono tre piani: giudiziario, storico-politico, etico.

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Information

Year
2014
ISBN
9788858111901

Lo sguardo dello storico
di Salvatore Lupo

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato «golpe» [...]. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer o sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove.
P.P. Pasolini, Cos’è questo golpe?, in «Corriere della Sera», 14 novembre 1974, poi in Id., Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975.
– Lasciatele fare ai tedeschi del Tirolo, queste cose: gente fanatica, gente pazza; fascisti...
– Funzionava però la dinamite, funzionava; anche lei, in principio, quando...
– Lasciamo stare, dunque, questi mezzi da terroristi: noi non siamo anarchici, siamo persone d’ordine... E i conti che abbiamo da regolare, da oggi li regoleremo all’antica.
– I ragazzi però ci avevano preso gusto...
– Certo che l’effetto era grande, non lo posso negare... Ma non ci si può mettere su questa strada... O credi che dobbiamo metterci a lavorare per avere anche noi la bomba atomica?
L. Sciascia, Filologia, in Id., Il mare colore del vino, Einaudi, Torino 1973, pp. 88-96, in particolare pp. 94-95.

1. L’oggetto del contendere

7 marzo 2013. Vengono rinviati a giudizio a Palermo quattro boss di Cosa Nostra, Salvatore Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà; tre alti ufficiali dei carabinieri, Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno; Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino, già sindaco democristiano di Palermo; il senatore Marcello Dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia, top manager nelle aziende di Silvio Berlusconi; e l’ex ministro democristiano Nicola Mancino. Sarà giudicato anche, ma autonomamente (ha chiesto il rito abbreviato), l’altro ex ministro Dc Calogero Mannino.
Tutti costoro sono accusati di aver partecipato alla trattativa tra Stato e mafia, nel 1992-93. Però, di fatto, dovranno rispondere di «minaccia ad un Corpo politico dello Stato» (Mancino solo di falsa testimonianza), perché il reato di «trattativa» non esiste, come è precisato nella Memoria con cui la procura (primo firmatario Antonio Ingroia) ha chiesto il loro rinvio a giudizio1. Il saggio di uno specialista come Giovanni Fiandaca, pubblicato in questo stesso volume, spiega quanto in effetti sia difficile far rientrare un concetto del genere nella sfera del diritto penale2. Più facile che rientri nella sfera storico-politica; e questo, forse, giustifica il tentativo di uno storico di dare un contributo interpretativo.
Diciamolo subito: Fiandaca e io non pensiamo che possano essere ignorate le differenze di finalità e metodi tra processo penale e analisi storica, per non dire della difficoltà di inserire giudizi morali nell’uno e nell’altra. È nondimeno un fatto che l’intricata questione della trattativa rimanda a tutti e tre questi piani: il penale, lo storico-politico, l’etico-politico. Lo fa riportandoci alle passioni del 1992-93, allorché una parte d’Italia si impegnò nella moralizzazione della politica e particolarmente nella lotta alla mafia, confidò nell’intervento salvifico della giustizia penale e invocò una «seconda» Repubblica che la facesse finita coi misfatti della «prima» – per restare poi profondamente delusa dagli esiti della propria battaglia3.
Ignorando questa delusione, non si intenderebbe la stessa aggettivazione per cui, nella Memoria della procura, la trattativa è qualificata come «scellerata», ed è detto «deprecabile» ogni «seppure parziale cedimento dello Stato» allora verificatosi4. Non si intenderebbe nemmeno la convinzione che il corso della storia italiana sia stato determinato (deviato) da una molla nascosta, alla cui ricerca più liberamente si è dedicato Ingroia nel libro-intervista intitolato Io so5.
Ho riportato in epigrafe il brano di Pier Paolo Pasolini evocato in questo titolo. I giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, che in Io so svolgono la parte degli intervistatori, così spiegano il richiamo: per andare «alla verità dei fatti», per chiarire questo e gli altri misteri d’Italia, si può anche «prescindere dalle prove e dai processi»6. La formula fa sospettare che i due non abbiano riflettuto sul principio generale per cui nessuno può affermare una sua verità a prescindere da prove documentarie e senza chiarire i processi cognitivi utilizzati. Avrebbero fatto meglio a sceglierne un’altra: questa non rende giustizia all’intenzione dell’intervistato.

2. L’accusa

Per esporre i fatti voglio partire dal punto di vista dell’accusa, dai due documenti sopra citati, il pubblicistico e il giudiziario7; i quali, a loro volta, partono da quel gennaio del 1992 in cui la Cassazione confermò definitivamente la sentenza del maxiprocesso (1986-87), mettendo in crisi «la credenza d’impunità dei boss, condizione essenziale per la sopravvivenza dell’organizzazione criminale»8.
La risposta fu tremenda. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che del maxiprocesso erano stati gli artefici, caddero nel maggio e nel luglio vittime di apocalittici attentati. Già nel marzo era stato assassinato Salvo Lima, il deputato andreottiano considerato il trait d’union tra mafia e politica «romana»; nel settembre stessa sorte toccò a Ignazio Salvo, figura di grande rilievo a cavallo tra mafia, affari e politica. Sembra siano state progettate diverse altre rappresaglie contro quanti si mostravano incapaci di tutelare la mafia. Ingroia descrive come particolarmente «terrorizzato» Calogero Mannino, «all’epoca il più potente uomo politico siciliano»9, che avrebbe riservatamente chiesto al maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli di chiamare in causa il Ros – il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri costituito alla fine del 1990 –, di cui era comandante Subranni. Fatto sta che Guazzelli finì assassinato subito dopo. A quel punto Mori, che nel Ros dirigeva il reparto criminalità organizzata, avviò insieme al suo ufficiale De Donno una serie di colloqui con Vito Ciancimino, cui sarebbe stato chiesto (o che si sarebbe offerto) di fungere da intermediario per una trattativa con i boss Riina e Bernardo Provenzano (i tre erano nativi di Corleone, e notoriamente legati tra loro). I colloqui cominciarono dopo l’attentato di Capaci e proseguirono dopo quello di via d’Amelio: di qui l’idea, molto diffusa nell’opinione pubblica e avallata in Io so, che Borsellino sia stato ucciso perché era venuto a conoscenza della trattativa e perché si opponeva ad essa.
Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ha consegnato agli inquirenti un testo in 12 punti, un cosiddetto papello, contenente a suo dire le richieste di Riina alle autorità, che suo padre avrebbe passato a Mori nel corso dei colloqui. Sempre stando a Ciancimino jr., il padre avrebbe però giudicato troppo estremiste le richieste del boss, consigliando ai suoi interlocutori di rivolgersi al più moderato Provenzano. Seguì, nel gennaio 1993, l’arresto di Riina ad opera proprio dagli uomini del Ros, che Ingroia vuole indirizzati da «‘soffiate’ provenienti dall’interno di Cosa Nostra»10. L’idea che ci sia stato uno scambio tra il Ros e la fazione mafiosa moderata, a scapito di quella estremista, è rafforzata dalla mancata perquisizione dell’abitazione in cui il boss viveva con la famiglia. Lì, si è pensato, potevano trovarsi documenti che non si volevano portare all’attenzione della magistratura.
Nel papello edizione Massimo Ciancimino, comma secondo, troviamo la richiesta dell’abolizione del regime di carcerazione speciale dei detenuti particolarmente pericolosi, il 41 bis. Su questo punto «lo Stato», «debitore di Cosa Nostra»11 per la revoca della condanna a morte di Mannino e soci, si sarebbe accinto a fare concessioni. Su input del capo della polizia Vincenzo Parisi si sarebbero avviate le manovre per tagliare fuori dal governo gli elementi intransigenti: in campo democristiano il ministro degli Interni Vincenzo Scotti, in campo socialista il ministro di Grazia e giustizia Claudio Martelli. Nel giugno, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nominò capo del governo Giuliano Amato, e Scotti fu sostituito da Mancino. Nel febbraio dell’anno seguente, subito dopo l’arresto di Riina, Martelli si dimise lasciando il posto a Giovanni Conso, proprio mentre Parisi si pronunciava contro sistemi troppo duri di detenzione. Fu sostituito anche Nicolò Amato, dirigente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap)12.
Se la Memoria attribuisce a Scalfaro un «ruolo decisivo» in questi avvicendamenti, il libro-intervista concede: «Non siamo riusciti a verificare quale fosse il livello di consapevolezza di Scalfaro sui suggerimenti che gli venivano da Parisi», ma ugualmente conclude che «c’è la sua mano in tante manovre necessarie allo svolgimento della trattativa»13. Nel novembre, a 334 mafiosi detenuti secondo il 41 bis la normativa non venne più applicata. Se non che, a quella data si erano già consumati i sanguinosi attentati terroristici di Firenze (maggio), Milano e Roma (luglio). La sentenza del tribunale di Firenze del giugno ’98, la prima a parlare di trattativa, ha assunto questa sequenza come prova dell’effetto tutt’altro che moderatore della trattativa medesima: i boss ne avrebbero tratto, anzi, la convinzione «che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione»14. Comunque la direttiva di Riina, «fai la guerra che poi viene la pace»15, fu seguita solo per un breve periodo ancora, perché gli irriducibili furono poi convinti da Provenzano ad adattarsi a un’opposta prospettiva.
Saremmo dunque davanti a due trattative, l’una fallita (con Riina), l’altra di successo (con Provenzano)16. Le complicazioni non finiscono qui. Riina e i suoi avrebbero perseguito due finalità collegate ma di natura differente. Della prima – salvarsi dalla repressione – abbiamo detto. La seconda riguarderebbe il nuovo quadro politico generale da costruire dopo la caduta del muro di Berlino, di fronte al cataclisma di Tangentopoli, in modo da arrivare a «un nuovo patto di convivenza Stato-mafia», per realizzare la transizione «dalla Prima alla Seconda Repubblica». «In futuro – avrebbe spiegato Bagarella ai suoi – non dobbiamo più correre il rischio che i politici possano voltarci le spalle»17.
I mafiosi pensarono di mettere in atto un’operazione simmetrica a quella leghista, e sponsorizzarono un gruppo separatista, «Sicilia libera», legato a un altro costituito dalla ’ndrangheta in Calabria. Questo risulta dell’inchiesta detta Sistemi criminali, promossa dalla procura della Repubblica palermitana nel 1996, che annovera tra gli inquisiti – al primo posto – Licio Gelli, il gran maestro della P2. L’idea, infatti, è che le convergenze sia...

Table of contents

  1. Lo sguardo dello storico di Salvatore Lupo
  2. Lo sguardo del giurista di Giovanni Fiandaca
  3. Appendice
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Fiandaca, G., & Lupo, S. (2014). La mafia non ha vinto ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3461289/la-mafia-non-ha-vinto-il-labirinto-della-trattativa-pdf (Original work published 2014)

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Fiandaca, Giovanni, and Salvatore Lupo. (2014) 2014. La Mafia Non Ha Vinto. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3461289/la-mafia-non-ha-vinto-il-labirinto-della-trattativa-pdf.

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Fiandaca, G. and Lupo, S. (2014) La mafia non ha vinto. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3461289/la-mafia-non-ha-vinto-il-labirinto-della-trattativa-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Fiandaca, Giovanni, and Salvatore Lupo. La Mafia Non Ha Vinto. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2014. Web. 15 Oct. 2022.