LâALIENAZIONE BEN MASCHERATA (I)
Nella prima parte dellâera della tecnica e della societĂ industriale, dunque, le emozioni dovevano essere controllate, razionalizzate, posticipate. A dominare doveva essere il principio di realtĂ e a questo servivano le foucaultiane discipline, lâesercizio, la ripetizione meccanica, lâalienazione come perdita di se stessi e della capacitĂ /volontĂ di essere se stessi, affinchĂ© si potesse essere come gli altri, standardizzati come voleva il sistema tecno-capitalista, nelle emozioni e nel loro controllo, nel fare e nel pensare. Sintetizzava Umberto Galimberti: «Si tratta di un mondo dove la natura Ăš visualizzata solo come materia quantificabile e lâazione dellâuomo solo come prestazione misurata dal massimo coefficiente di razionalitĂ che la tecnica, come âprevisione scientificaâ rispetto alla âprevisione grezzaâ del mondo-della-vita, Ăš in grado di indicare. (âŠ) Ma ciĂČ significa che prima di ogni impiego e applicazione (âŠ) la tecnica vincola la societĂ a una pratica di comportamenti definibili in termini di funzionalitĂ e di strumentalitĂ a cui i singoli progetti devono necessariamente ricondursi. Ponendosi come condizione imprescindibile dâesistenza, il dominio della tecnica [appare] come il dominio della razionalitĂ intorno a cui convergono tutti gli uomini, che trovano irrazionale qualsiasi forma dâesistenza che dovesse prescindere dalla mediazione tecnica. (âŠ) la tecnica svolge a livello sociale una funzione stabilizzatrice, statica e conservatrice, che neppure la continua rivoluzione delle proprie ipotesi e delle proprie procedure Ăš in grado di scalfire, perchĂ© questa rivoluzione resta comunque inscritta in quellâa priori tecnologico che ribadisce quella medesima esperienza di vita che si esprime esclusivamente in termini di âfunzionalitĂ â e âstrumentalitĂ â» (1999: 386-387) â quella razionalitĂ tecnico-scientifica che Horkheimer e Adorno, nella Dialettica dellâilluminismo, definivano totalitaria, come Marcuse ne Lâuomo a una dimensione e che noi abbiamo definito come religiosa (Demichelis, 2015).
Oggi, tuttavia, come si Ăš cercato di dimostrare, questo a priori tecnologico agisce â facendo agire gli uomini, agiti dallâapparato religioso tecno-capitalista, ma in apparente autonomia/libertĂ â su una razionalitĂ fondata sulla attivazione/industrializzazione delle pulsioni. Il principio di realtĂ muore nella virtualitĂ e si confonde con il principio di prestazione e soprattutto con il principio di piacere, se non con il principio di auto-godimento. Se ieri le pulsioni dovevano essere soprattutto controllate (o almeno alcune pulsioni), oggi sono stimolate, dopate, esasperate, mobilitate, dinamizzate. La societĂ della prestazione (auto-attivazione in funzione delle esigenze richieste dallâapparato, auto-flessibilizzazione, auto-motivazione, auto-sfruttamento secondo le disposizioni dei dispositivi tecnici) Ăš una societĂ costruita sempre piĂč sullâa priori tecno-capitalista che oggi incorpora totalmente e totalitariamente unâeccitazione crescente di tutti e dellâinsieme. La mobilitazione totale e il futurismo si sono fatti di massa.
Si crea il paradosso per cui lâautenticitĂ , lâessere se stessi, il conoscere se stessi â che lâoracolo di Delfi indicava come strada per raggiungere la salute dellâanima ma dove il conosci te stesso era affiancato da unâaltra frase: niente di troppo (mentre oggi il dover essere imprenditori di se stessi si basa allâopposto sul tutto e sempre di piĂč) â diventano il mezzo pedagogico/pastorale con cui il sistema piega (e im-piega) gli individui alle proprie logiche funzionali e prestazionali. La sua abilitĂ di pastore/motivatore/attivatore essendo quella di negare che ci sia un pastore, affermando invece e appunto (sono le sue retoriche dominanti â supra) che ciascuno sia libero di seguire la propria strada (e ciascuno sia pastore di se stesso), bastando il gioco tecnico-economico della catallassi a dare ordine alle pulsioni e alle emozioni o meglio agli spiriti animali dello stato di natura tecno-capitalistico. La differenza tra educazione e addestramento, tra insegnare a cercare la via e dare/indicare la via da dover seguire seguendo il pastore Ăš tutta qui. Pur sapendo, con Anders (2003, II: 16), che «Ú sempre difficile stabilire dove finisce lâeducazione e ha inizio lâaddestramento». Ma proprio su questa ambiguitĂ agiscono il tecno-capitalismo e il neoliberalismo come biopolitiche per la costruzione deliberata e programmata, sulla base dellâa priori del mercato e della tecnica, dellâuomo nuovo capace di adattarsi alla distruzione creatrice.
Lâaddestramento trionfa, offrendosi non solo come disciplina ma (biopoliticamente) come educazione/pedagogia, intendendola â richiamando i concetti di socializzazione di ruolo e di funzione â nella sua definizione tradizionale di descrizione del mondo come esso Ăš e come deve essere in quel determinato modo. Consentendo cosĂŹ a tutti di prevedere come andranno le cose e come ci si deve comportare in quel mondo che resta prevedibile anche quando sembra essersi fatto imprevedibile e liquido. Ma, ovviamente ed evidentemente, ogni socializzazione di ruolo/funzione-funzionalitĂ cancella o riduce tendente a zero lâautonomia concreta dellâindividuo e ogni possibilitĂ di individuazione attraverso un pensiero aperto e perfino dissidente. Invero, solo una societĂ veramente orizzontale, cioĂš «senza gerarchie di valori e senza devozione per lâautorità » (Marzano-Urbinati, 2017: 17) puĂČ permettere la celebrazione e lâesercizio dellâuguaglianza, «di quella âpassione folleâ che fa giustizia dei âmaestriâ e dei âpastoriâ â dei padri, appunto â e che dichiara, con orgogliosa autosufficienza di non aver bisogno di vertici infallibili, nĂ© di autoritĂ depositarie di una veritĂ che non necessita del nostro giudizio per risultare autorevole» (ibid.). PerchĂ© per essere veramente se stessi bisogna uscire da se stessi e allontanarsi dallâisola/se stessi (Saramago, Il racconto dellâisola sconosciuta, 2015: 31), solo modo per vedere lâisola e cioĂš vedere se stessi. Ovvero, occorre uscire dalla gerarchia dei valori, dal paternalismo/pastorato di chi crede di possedere le mappe del vivere e afferma, perentoriamente, che isole sconosciute non ne esistono piĂč (come il re, nel racconto di Saramago) o che sono offerte solo dallâinnovazione tecnica. Se un insegnante volesse insegnare la libertĂ e la libera navigazione alla ricerca di sĂ©, non potrebbe farlo se non smontando i meccanismi biopolitici e disciplinari dellâidentitĂ , della comunitĂ , del pastorato e oggi dei social e dei gruppi sul web, facendo al contrario entusiasmare gli allievi per lâerranza, lâandare per via dimenticando le radici/comunitĂ vecchie e nuove, sempre false e immaginarie (come quelle che vorrebbe produrre Mark Zuckerberg, perchĂ© funzionali unicamente al suo profitto â supra), per costruirne ogni giorno di nuove: che non devono diventare comunitĂ , appartenenza e identitĂ , ma nuova apertura e ulteriore navigazione verso di sĂ© e verso gli altri.
Anche la scuola neoliberale â matematizzata e prestazionale, sempre piĂč vuota di conoscenze/spirito critico ma sempre piĂč piena di (presunte) competenze volte alla incessante innovazione tecnica e solo tecnica â alla fine produce ancora e sempre disagio della civiltĂ (Freud): che tuttavia oggi nasce non dalla repressione ma appunto dallâattivazione eteronoma delle pulsioni prestazionali. Riaffermando in altro modo lâessenza dellâindividuo moderno che pensa alla libertĂ come alla possibilitĂ di dominare le cose (la volontĂ di potenza attraverso la tecnica e il capitalismo), e oggi di poterlo fare in misura n volte maggiore attraverso lâespansione delle sue pulsioni (di Narciso-Prometeo), invece che con il loro controllo responsabile e veramente e liberamente creativo. Re-incantando (Ăš lâillusione offerta dalla tecnica) attraverso la produzione eteronoma di pulsioni funzionali, un mondo ormai disincantato (cfr. Max Weber) per avere perduto non solo il senso teologico e teleologico/escatologico della religione giudaico-cristiana, ma anche il senso della ragione e della responsabilitĂ umane. Scriveva Marcuse, ma nel 1958: «La tecnica e la tecnologia operano perciĂČ come controlli sociali e politici che organizzano dimensioni dellâesistenza privata e pubblica in precedenza incontaminate. Al centro della produzione sociale, oggi la macchina individuale funziona come parte non solo di un complesso tecnico di fabbriche, impianti, branche di industrie, ecc., ma anche di un complesso politico e culturale (catene, networks, mezzi di comunicazione, il regno delle Corporations, il Trust, il Collettivo), che impone i suoi modelli di prestazione e di assoggettamento alla popolazione sottostante» (La societĂ tecnologica avanzata, 2008: 148).
Scriveva ancora Umberto Galimberti: «quando il progresso non Ăš piĂč affidato, come nellâepoca del primato dellâeconomia, alla contrapposizione tra uomini, ma, come nellâepoca della tecnica, allâautomatismo dellâapparato che âvendeâ agli uomini la vita che giĂ conducono, agli individui non resta che rispondere a ciĂČ che sentono e vedono intorno a loro, rinunciando consciamente o inconsciamente alla specificitĂ del loro essere uomini per trasformarsi, nellâuniformitĂ piĂč rigorosa, in membri di una organizzazione dove tutti riecheggiano, imitano, copiano coloro che li circondano, perchĂ© in un apparato tecnico sola la capacitĂ di adattamento garantisce le condizioni di sopravvivenza e, allâinterno dellâapparato, anche qualche possibilitĂ di influenza» (1999: 543). Lâapparato, continuava Galimberti, non abolisce la libertĂ degli individui, ma ne appiattisce il concetto su quello di competenza. E «non si dĂ âinterioritĂ â se non come accoglimento della âesterioritĂ â, non si dĂ âdentroâ se non come riflesso del âfuoriâ, non si dĂ âattivitĂ â se non dopo avere ricevuto âpassivamenteâ le regole con cui agire e i contenuti su cui agire, non si dĂ âlibertĂ â se non nellâambito circoscritto della âomologazioneâ» (ivi: 542).
Competenza, invece di conoscenza. E va ricordato come lâapprendimento dello spirito dâiniziativa e dellâimprenditorialitĂ , a prescindere dalla reale creazione di unâimpresa, sia tra le competenze basilari raccomandate nel 2006 dallâUnione Europea (ordoliberale per essenza biopolitica) ai governi dei paesi membri; che in un documento del 2016 del Jrc dellâUnione Europea si scriveva che giĂ i bambini di 5 o 6 anni dovrebbero apprendere ad «assumersi rischi», «prendere iniziative», imparare a «mobilitare gli altri»; che serve sempre piĂč una formazione permanente ma non finalizzata a conoscere per comprendere bensĂŹ â con una perfetta pedagogia neoliberale/tecno-capitalista â per «imparare i comportamenti adeguati a vivere in societĂ instabili: ovvero ascoltare e rispondere in maniera costruttiva, osservare e osservarsi, riconoscere lo stress e agire di conseguenza, costruire fiducia in se stessi, affrontare le sfide sia singolarmente che in gruppo, prendersi le responsabilitĂ delle proprie azioni e credere nel valore dellâimpegno» (Josephine Condemi, Algoritmi educativi programmabili, in «NĂČva 24-Il Sole 24 Ore» del 22/04/2018), dove lâaccento Ăš posto appunto su adeguamento e su instabilitĂ /squilibrio. Dimenticando come il concetto della meritocrazia si basi su un trucco del neoliberalismo, essendo stato creato, ma in senso peggiorativo, dal labourista inglese Michael Young in un libro del 1958 (The Rise of the Meritocracy) criticando la societĂ dove «una minoranza di privilegiati si avvaleva di criteri di selezione tendenziosi e settari per impedire lâascesa sociale di quanti erano sfavoriti dal fatto di appartenere alle classi inferiori» (Perniola, 2009: 133) â divenendo poi, girata in positivo e socializzata/moltitudinarizzata, la forma per la continuazione di quella societĂ di privilegiati. Dove «lâincessante addestramento a un sapere solo utile contrae e inaridisce le capacitĂ delle persone di orientarsi riflessivamente nel mondo» (Veca, Il senso della possibilitĂ , 2018: 89). In realtĂ , come visto, lâapparato vende agli uomini, sempre piĂč e sempre meglio, una uniformitĂ fatta di difformitĂ /singolaritĂ /specificitĂ individuali. Un modello che tutti, ovviamente, riecheggiano, copiano e imitano â perchĂ© sempre solo la capacitĂ di adattamento garantisce le condizioni di sopravvivenza allâinterno dellâapparato e perfino qualche illusione di poterlo influenzare,...