Missione incompiuta
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Missione incompiuta

Intervista su politica e democrazia

Romano Prodi, Marco Damilano

  1. 192 pages
  2. Italian
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Missione incompiuta

Intervista su politica e democrazia

Romano Prodi, Marco Damilano

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«Ci sono momenti in cui l'Italia ha bisogno di un'auto-illusione ed Ăš disposta a non guardare dentro a se stessa pur di continuare a illudersi. Attraversiamo spesso questi momenti nella nostra storia nazionale...».Romano Prodi racconta le stagioni vissute da protagonista. Il ritratto di un Paese ricco di potenzialitĂ , ma sempre tentato di fuggire dalle sue responsabilitĂ , anche nelle classi dirigenti. È stata «la strada scomoda» il cuore dell'Ulivo, il tentativo piĂč ambizioso di dare forza al riformismo italiano, un'azione di governo, una visione complessiva, un popolo. Il seme della democrazia dei cittadini, perchĂ© per Prodi la crisi potrĂ  essere superata solo con il pieno coinvolgimento della societĂ . Una missione incompiuta, anzi, in attesa di compimento.

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2015
ISBN
9788858120637

1. QUANDO CI CREDEVAMO

Lei ha vissuto la ricostruzione, gli anni dello sviluppo italiano con il miracolo economico, gli anni della crisi e del rilancio, fino al periodo di declino e di recessione. Come riassume questo percorso?
Sono nato nel 1939 e quindi la mia etĂ  della ragione (se mai vi Ăš stata) coincide con la stagione repubblicana. Nella mia felice infanzia e poi adolescenza mi occupavo ovviamente di quello che interessa ai bambini e agli adolescenti. Alla fine del liceo, a Reggio Emilia, e soprattutto negli ultimi anni dell’universitĂ , a Milano, ho cominciato ad interessarmi sempre piĂč intensamente di politica e di economia. Erano gli anni della grande speranza. Alla fine degli anni Cinquanta, quando ho frequentato l’UniversitĂ  Cattolica, Milano sembrava imitare New York: tutto era possibile. Il Paese, tra tensioni e scontri, cambiava per il meglio: tutto era in crescita, sia nelle aree tradizionali che nei settori nuovi. Si producevano sempre piĂč automobili e sempre piĂč elettrodomestici ma, soprattutto, non vi era paura del nuovo. C’era la certezza della speranza, nessun dubbio sulla crescita, e un diffuso ottimismo sull’ascesa delle categorie piĂč modeste, dagli operai ai contadini, nonostante le tensioni sociali, talvolta anche aspre. Una scommessa sul futuro che non era limitata alla borghesia. Anzi, l’ascensore sociale sembrava poter funzionare per tutti. È questa la grande diversitĂ  con l’oggi. Si Ăš trattato di un periodo unico della storia italiana. Le precedenti fasi di espansione, per esempio il periodo giolittiano, erano limitate ad alcune zone e ad alcuni settori e non coinvolgevano l’intera societĂ . Lo sviluppo precedente riguardava solo una minoranza del Paese. Si trattava di un’espansione di Ă©lite o comunque di categorie limitate. Quello che Ăš avvenuto negli anni Cinquanta-Sessanta Ăš stato invece un aggancio al mondo. Una modernitĂ  diffusa. Una grande apertura non solo intellettuale, ma anche nella vita di ogni giorno. Era tutto in movimento e, soprattutto, nessuno pensava che lo sviluppo potesse interrompersi.
È stata quella la stagione in cui l’Italia ha avuto la possibilità di affrontare alcuni nodi mai sciolti, l’opportunità di raddrizzare il legno storto, se non dell’umanità – come diceva Isaiah Berlin – almeno di alcuni mali storici del Paese?
Quel momento magico Ăš stato giustamente chiamato “miracolo economico”. Quando, nel 1964, entrĂČ nel nostro vocabolario la parola “congiuntura”, dal tandem Carli-Colombo scoprimmo che non era scritto in cielo che dovessimo sempre procedere con uno sviluppo lineare e infinito. Tuttavia anche quando lo sviluppo si interruppe, vi era la convinzione che il cammino sarebbe presto ripreso, perchĂ© nel frattempo si era risvegliata tutta l’Europa. L’Italia stava cambiando, sia pure con grandi sacrifici, anche per effetto dell’influenza dell’Europa. Uno dei miei ricordi piĂč vivi dei tempi dell’UniversitĂ  Cattolica di Milano era la folla di emigranti che venivano assistiti nella vicina caserma di polizia in piazza Sant’Ambrogio. Ogni giorno passavano centinaia di lavoratori che andavano all’estero, verso la Francia o la Germania. Partivano, ma con la speranza, in molti casi realizzata, di tornare rapidamente. E anche io ci credevo perchĂ© ero sotto l’influenza di un ricordo della mia adolescenza a Reggio Emilia, quando chiusero le Officine Reggiane che, durante la guerra, erano arrivate a impiegare 12 mila addetti. Fu un momento di disperazione, in una cittĂ  di 110 mila abitanti ogni famiglia aveva uno o piĂč lavoratori in quella grande fabbrica. Molti papĂ  dei miei compagni di scuola partirono allora per andare all’estero. Molti verso Saint-Étienne, dove le locali acciaierie e officine meccaniche pesanti avevano bisogno di mano d’opera ben addestrata. Partirono tutti assieme ma, dopo un anno, cominciarono a tornare e tornarono quasi tutti perchĂ©, nel frattempo, nelle cittĂ  emiliane era cominciata un’epoca nuova. Nel mio quartiere c’era uno scantinato che chiamavano “la Rettifica” dove andavo a curiosare: si mettevano a posto gli ingranaggi, si “rettificavano” i macchinari vecchi e poi, quasi senza rendersene conto, si cominciavano a fare cose nuove. Si affrontavano con serenitĂ  anche le emergenze piĂč drammatiche, perchĂ© tutto sembrava a portata di mano.
Eravamo la Cina dell’Europa?
Come tasso di crescita sicuramente. Ma anche come autostima. I discorsi dei ragazzi cinesi, studenti alla Business School di Shanghai, sono identici ai nostri di allora. Sentono di poter fare tutto, rifiutano le lettere con le proposte di lavoro perché hanno la certezza che ne arriveranno di migliori. Uno mi ha spiegato che, nella sua vita, ha programmato di essere il primo al mondo nella costruzione di vetture davvero speciali: ambulanze con unità cardiache, macchine per lo spegnimento di incendi provocati da prodotti chimici particolari, ecc. Stravagante? Forse sÏ, ma i miei coetanei di allora non avevano sogni molto diversi da quelli dei giovani cinesi di oggi.
L’innovazione non faceva paura?
No, la grande differenza con il presente ù che allora l’innovazione tecnologica portava lavoro. Oggi, almeno qui da noi, il progresso tecnologico sta diventando simbolo di distruzione di lavoro.
Le due leve dello sviluppo negli anni Cinquanta sono state la programmazione economica e l’impresa pubblica, legate a personaggi come Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno. C’era un disegno illuministico guidato dall’alto?
No, non c’era una classe dirigente che prevedeva e dirigeva il cambiamento economico. La politica non guidava lo sviluppo, ma lo seguiva con grande attenzione concentrandosi soprattutto nell’offrire un rapporto con i riferimenti ideologici che stavano alla base dei grandi partiti popolari. Senza dubbio c’era fiducia nella programmazione come una necessitĂ  razionale, ma, in fondo, si pensava che le cose si sarebbero messe a posto da sole, soprattutto in periferia. Quella stagione mi ha segnato in profonditĂ  perchĂ© mi ha trasmesso un senso di ottimismo, mi ha impresso nella mente il messaggio (non vero ma utile) che le crisi sono una parentesi nel cammino dello sviluppo. È certo una convinzione anti-storica. Lo studio piĂč approfondito della storia ti fa capire che il progresso non Ăš mai un processo lineare: ci sono gli strappi, le rotture, le cadute, gli alti e i bassi. PerĂČ l’ottimismo Ăš una forza in sĂ©: Ăš importante avere fiducia. Crederci.
E noi italiani, quando abbiamo smesso di crederci?
Un momento preciso non c’ù. È successo progressivamente. Anche il ’68 non Ăš stato vissuto, nemmeno dai giovani, come una rottura definitiva del processo di sviluppo ma come la necessitĂ  di un suo cambiamento. Le difficoltĂ  sono arrivate dopo. Le speranze di cambiamento sono state via via soffocate, ma con un processo lento che ha costruito un sentimento di rassegnazione. Al termine di questa trasformazione la complessitĂ  del mondo e lo sviluppo non sono piĂč apparsi come lineari. Difficile trovare le ragioni per cui tutto ciĂČ Ăš avvenuto. Non Ăš un caso che gli anni del miracolo economico abbiano una precisa datazione e quelli della successiva perdita di vigore non abbiano un inizio e neppure una definizione condivisi.
Lei come li definirebbe?
Gli anni dell’assestamento, dell’adattamento, e poi della rassegnazione. È stato un rassegnarsi progressivo alla perdita di energia, al rallentamento, interrotto soltanto dalle illusioni degli anni Ottanta, quando i grandi magazine internazionali dedicavano le copertine ai capitani di ventura come i nuovi conquistatori. Gli imprenditori sono apparsi come gli eroi di un nuovo rinascimento, fondato solo sull’illusione e su una descrizione falsata di quanto stava avvenendo nel mondo. L’ascesa dell’economia e della societĂ  italiana negli anni Cinquanta-Sessanta Ăš stata lineare e intensa, l’assestamento e poi il passaggio verso la stagnazione si Ăš invece compiuto tra alti e bassi. Quello che Ăš piĂč grave Ăš che per costruire una di queste stagioni di ascesa momentanea, negli anni Ottanta, Ăš stato devastato il bilancio dello Stato. È stato lanciato all’opinione pubblica il messaggio che l’inflazione fosse un unguento miracoloso e che il deficit potesse correre all’infinito.
Non ci sono mai stati periodi di ripresa?
Certamente un momento di riconquista delle speranze collettive Ăš stato l’ingresso nell’euro negli anni Novanta: dopo un lungo periodo di difficoltĂ  tornava l’idea, giusta, che se si riaffermava una speranza collettiva, potevamo stare al passo degli altri paesi europei. La crisi economica invece ci ha di nuovo differenziato, perchĂ© il debito pubblico ha reso insopportabile il peso per lo Stato. Le cause di questo progressivo scollamento sono infinite. La maggiore, per me, sta nell’arretratezza del nostro sistema scolastico, insieme alla tradizionale debolezza della cultura politica. È a scuola che abbiamo perso la gara della modernitĂ  e nelle scelte della classe dirigente la possibilitĂ  di porvi rimedio.
Si riferisce anche alla sua formazione? La sua famiglia, i nove fratelli, la tribĂč sterminata di figli e nipoti, Ăš una storia tipicamente italiana: nonni contadini, il padre Mario l’unico ad aver terminato gli studi con la laurea in ingegneria, voi figli tutti laureati e professori universitari. Lei ha studiato a Milano, alla Cattolica, che negli anni Cinquanta ha costruito la classe dirigente del Paese.
Non solo l’universitĂ , ma soprattutto il collegio si fondava su accurati processi di selezione. Occorrevano medie elevate, i posti erano pochi, le Ă©lites si formavano nello studio ma anche attraverso un dibattito continuo e intenso. E si attingeva veramente da tutta l’Italia. Si trovavano a studiare ragazzi spesso provenienti da famiglie realmente povere, sia settentrionali che meridionali, con un assistente spirituale che era avanti di secoli, con un senso di libertĂ , modernitĂ  e pluralismo unico per quei tempi, e anche per quelli successivi.
C’era la politica?
C’era una naturale tendenza prevalente verso la Democrazia cristiana, ma c’erano anche molte eccezioni, e soprattutto un fortissimo dibattito interno tra le diverse correnti culturali. Molti di noi facevano il tifo per il disegno del centrosinistra. Lo vedevamo come il volto politico dello sviluppo economico. L’allargamento dei protagonisti politici nel campo da gioco che doveva accompagnare la crescita del Paese.
E sul piano religioso?
C’era la proposta di un cattolicesimo libero, non conservatore. I giovani professori, Siro Lombardini, il giovanissimo assistente Beniamino Andreatta, erano il segno di un cambiamento di cultura economica che correva in parallelo a quello religioso. L’orizzonte guardava molto all’estero: Giuseppe Lazzati, monsignor Carlo Colombo, erano tutti molto legati intellettualmente al cattolicesimo francese. Leggevamo il teologo tedesco Romano Guardini, ma il punto di riferimento era la rivista “Esprit”: Jacques Maritain, Emmanuel Mounier e poi il domenicano Marie-Dominique Chenu. Il cattolicesimo francese era fecondo, combattivo, non ancora in crisi.
Nasce da questa radice la definizione di “cattolico adulto” che lei utilizzĂČ quando, nel 2005, rifiutĂČ di seguire le indicazioni di voto della Cei sulla fecondazione assistita? Per far fallire i referendum (come poi avvenne) i vescovi fecero campagna per l’astensione, lei invece andĂČ a votare...
Fu considerata una definizione esplosiva, invece Ăš stata la logica conseguenza della formazione ricevuta all’UniversitĂ  Cattolica, un’espressione assolutamente naturale del credente impegnato nel mondo. Quella frase mi Ăš costata molto, anche se oggi Ăš ritornata ad assumere il suo significato semplice e originario della necessitĂ  di interpellare sempre e a fondo la propria coscienza. PiĂč ci penso, piĂč sono contento di averla detta! Ma a partire dagli anni Novanta non c’era disponibilitĂ  all’ascolto: il mondo cattolico sembrava modellato su un pensiero unico. Non c’era piĂč dibattito: tutto arrivava dall’alto. Per anni nelle riunioni della Conferenza episcopale italiana non ci sono stati confronti o discussioni. In quel contesto la mia Ăš apparsa come una scelta di ribellione, ma era quello che mi ero sempre sentito predicare sulla necessitĂ  di essere responsabili delle proprie azioni e di assumersi il rischio delle scelte personali. Mi sono definito “cattolico adulto” in modo spontaneo, non pensato; per me era del tutto normale e quasi ovvio, il riflesso della mia educazione nella quale avevo cercato di proseguire anche dopo il mio ritorno, una volta laureato, a Reggio Emilia, durante gli anni del Concilio. Era un discorso addirittura banale, una frase pronunciata anche da Pio XII e da padre Agostino Gemelli, non certo percorsi da tentazioni rivoluzionarie. Tutti eravamo stati educati al primato della coscienza.
Da quando conosce Camillo Ruini, anche lui reggiano?
Beh, da sempre... fin da quando sarebbe stato certamente d’accordo sull’espressione “cattolico adulto”.
Nel 1969 ù stato don Ruini a leggere l’omelia davanti a lei e a sua moglie Flavia, al vostro matrimonio.
SĂŹ, ma lo conoscevo almeno dal 1964, da quando tornai a Reggio da Londra. Avevamo animato insieme un circolo chiamato “Leonardo”, un’associazione avanzata, molto aperta alla cittĂ , con una grande attenzione sia alla politica locale che ai temi ecclesiali. Chiamammo a Reggio tutti i teologi del Concilio. Una volta io e Flavia andammo a prendere il grande teologo domenicano padre Chenu al Convento di San Domenico di Bologna con una Fiat 850. Mi vengono ancora i brividi a ricordarlo: la macchina si ruppe, Flavia e il grande teologo fecero l’autostop, io rimasi in mezzo alla strada ad aspettare i soccorsi. Era un altro mondo. Tra me e don Ruini c’era un rapporto personale molto forte. Ha parlato al nostro matrimonio, ha battezzato i nostri figli e tutti gli anni a Natale passava a salutare l’intera tribĂč.
Com’ù possibile, allora, una rottura così violenta dopo l’ingresso in politica e la nascita dell’Ulivo?
Non ho mai parlato di questo anche perchĂ© non vi Ăš mai stato uno scontro personale ma, piuttosto, una divergenza crescente sulla interpretazione della societĂ  italiana. Alla radice della sua visione politica vi era non solo un profondo e radicale anti-comunismo, ma anche l’idea che la Chiesa abbia una sostanziale necessitĂ ...

Table des matiĂšres

  1. Introduzione di Marco Damilano
  2. 1. QUANDO CI CREDEVAMO
  3. 2. GLI OTTANTA ALL’IRI
  4. 3. L’ULIVO, LA VIA DIFFICILE
  5. 4. L’EUROPA SPEZZATA
  6. 5. CHI VINCERÀ IN ITALIA
  7. Gli autori
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Prodi, R., & Damilano, M. (2015). Missione incompiuta ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3460828/missione-incompiuta-intervista-su-politica-e-democrazia-pdf (Original work published 2015)

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Prodi, Romano, and Marco Damilano. (2015) 2015. Missione Incompiuta. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3460828/missione-incompiuta-intervista-su-politica-e-democrazia-pdf.

Harvard Citation

Prodi, R. and Damilano, M. (2015) Missione incompiuta. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3460828/missione-incompiuta-intervista-su-politica-e-democrazia-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Prodi, Romano, and Marco Damilano. Missione Incompiuta. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2015. Web. 15 Oct. 2022.